DOCUMENTO POLITICO CONGRESSUALE EMENDATO
In rosso grassetto e corsivo le parti emendate (integrazione e sostituzioni)
DOCUMENTO POLITICO PER IL 16° CONGRESSO
NAZIONALE
Indice
Sommario
PARTE PRIMA
........................................................................................................................
2
Il quadro mondiale............................................................................................................
2
Il quadro italiano...............................................................................................................
5
La politica .........................................................................................................................
8
PARTE SECONDA
................................................................................................................
9
RUOLO, COMPITI E IMPEGNI DELL’ANPI .............................................................
9
Memoria,
Pace, Superamento delle disuguaglianze sociali, Difesa intransigente della Costituzione, Attuazione della Costituzione, Libertà
e uguaglianza, Antifascismo, Legalità, Difesa dei diritti, Libertà
di informazione, Scuola, Giustizia, Ulteriori tematiche, Impegni,
Iniziative.
PARTE
TERZA......................................................................................................................
21
E’ ATTREZZATA
L’ANPI PER SVOLGERE QUESTI COMPITI? ED IN OGNI CASO, COME DEVE SVOLGERLI?............................................................................
21
L'identità dell'ANPI - NON E' UN PARTITO
La coscienza critica, Le regole, I giovani, Operare da soli, o con chi?
La coscienza critica, Le regole, I giovani, Operare da soli, o con chi?
PARTE
QUARTA
..................................................................................................................
28
STRUTTURE
ORGANIZZATIVE................................................................................
28
Comitato nazionale, Consiglio nazionale, Coordinamenti regionali,
Strutture interne organizzative, Coordinamento nazionale donne dell'ANPI,
Comunicazione, Formazione.
Statuto e Regolamento, Giornate nazionali , Festa nazionale.
Strutture materiali e articolazione, Presidenza onoraria, Tessere ad
honorem.
Strutture interne organizzative, Coordinamento nazionale donne dell'ANPI,
Comunicazione, Formazione.
Statuto e Regolamento, Giornate nazionali , Festa nazionale.
Strutture materiali e articolazione, Presidenza onoraria, Tessere ad
honorem.
CONCLUSIONE
....................................................................................................................
34
Per quanto molti mutamenti siano avvenuti – nel quinquennio – rispetto
al Congresso del 24-27 marzo 2011, non solo sono state applicate, per quanto
possibile, nel periodo, le conclusioni del documento approvato al termine del
Congresso, ma esse conservano tutt’ora la loro validità. Per cui, il 16°
Congresso non va inteso come un Congresso di “svolta” (se non per il ricambio
generazionale che si imporrà) ma come un Congresso in continuità con
quello precedente, con gli approfondimenti che derivano dall’esperienza svolta
finora, nonché dalle mutate situazioni politiche, a livello mondiale e nazionale,
ed infine dalle questioni che si sono proposte alla nostra attenzione e sulle
quali sarà doveroso cercare di fare ulteriore chiarezza. Non si parte dall’anno
zero, dunque, ma si approfondiscono e sviluppano ancora di più le preziose
indicazioni e gli impegni della “nuova stagione”; rispetto alle quali ci si
pone in posizione di continuità e di ulteriore sviluppo, con
profonda volontà di cambiamento, ma su linee di fondo che restano essenziali
per le finalità e l’identità della nostra Associazione.
PARTE PRIMA
Il
quadro mondiale
Si dovrà
procedere necessariamente, per sintesi, considerando il fatto che ciò che sta
avvenendo nel mondo è, purtroppo, comunemente noto, ma soprattutto il fatto che
le situazioni sono in fase dinamica, con continui cambiamenti e trasformazioni.
Di certo, possiamo dire che c’è una situazione incandescente, come mai si era
verificata negli anni del dopoguerra. Il
Pontefice parla della terza guerra mondiale in atto che si dipana in conflitti diffusi e
trasversali, in tutti i continenti, raccontati con maggior dovizia di
informazione in alcune zone, mentre sembrano destare minor interesse in altre
parti, facendo balenare il sospetto che il circo mediatico mondiale non sia
propriamente libero da condizionamenti. (Si pensi
alla situazione dell’Ucraina nel cui governo hanno trovato posto forze di
chiaro stampo nazi-fascista. Governo che ha permesso – tollerato stragi tra la
popolazione, ha sospeso la democrazia ponendo nell'illegalità partiti e
associazioni democratiche, ed all’incertezza che grava sulle Repubbliche
baltiche). E non basta: c’è l’esplosione
dei peggiori fondamentalismi e l’entrata in campo, pericolosissima, dell’ISIS
utilizzata in Siria da prima in funzione antigovernativa per destabilizzare il
governo locale e poi “sfuggita di mano”, cosi come in passato fu utilizzato Bin
Laden e la sua organizzazione in Afghanistan e in seguito in Libia e in Egitto
e cosi via, oltre alla nota situazione della Palestina, di cui si parla meno,
ma è lì, ancora grave come un macigno. Situazione in cui è ormai
improcrastinabile una presa di posizione netta a difesa della popolazione e dei
diritti umani troppo spesso calpestati. Tra l’altro i curdi, che sono gli unici
che contrastano il terrorismo ISIS sul campo, vedono le loro organizzazioni
messe fuori legge; in tal senso è necessario il riconoscimento del PKK (partito
kurdo dei lavoratori) quale organizzazione legittima e riconosciuta dalle
istituzioni italiane ed europee.
Sarebbe comunque riduttivo e fuorviante pensare che l’orrore sia
una prerogativa assoluta dell’Isis, di fondamentalisti e jihadisti a fronte di
altri regimi, considerati nostri alleati e partner, quali la Turchia di Erdogan,
Israele, Arabia Saudita, l’Iran, l’Egitto con il caso Regeni, e la lista
potrebbe continuare ancora per molto, che violano sistematicamente i diritti
umani. Oltre tutto, c’è il
pericolo che alcuni contrasti ed addirittura alcune guerre assumano contorni a
sfondo religioso, per mascherare le vere ragioni (economiche) dei conflitti,
con un evidente ed inevitabile aggravamento dei rischi già in atto e delle
situazioni disastrose che già constatiamo. Il Governo Italiano deve farsi
promotore perché cessi l’occupazione militare turca a Cipro, perché si condanni
presso l’ONU l’intervento militare a favore dell’ISIS e si blocchi la vendita
di armi a Turchia ed Arabia Saudita che sostengono DAESH. Tutto
questo non è casuale, né frutto di situazioni (tra di sé) indipendenti. In
qualche modo, tutto si lega: una profonda crisi economica mondiale, una crisi ricorrente
di democrazia (basta pensare alla famosa riunione delle Società di Rating) da
cui uscì l’idea della necessità di cambiare tutte le Costituzioni, proprio in
relazione ad intrinseci e comuni difetti, la diffusa tendenza allo spostamento
dei poteri sempre più verso l’esecutivo, il ritorno di varie forme di
autoritarismo, lo sviluppo – in molti Paesi - di un liberismo sfrenato, ovunque
la tendenza al predominio dell’economia sulle ragioni del diritto (e dei
diritti). Tutto questo è frutto di gravi tensioni, tra Paesi diversi ed anche
all’interno di molti Paesi; e gli effetti principali sono duplici: da un lato,
le guerre in atto e quelle che sono sempre sul punto di esplodere, dall’altro,
l’incremento, ovunque, delle disuguaglianze sociali, in un mondo in cui una
piccolissima parte della popolazione si arricchisce a
dismisura a discapito della stragrande maggioranza che inesorabilmente continua
a impoverirsi sempre di più. Di fronte a tutto questo, il mondo sembra
impotente, non riuscendo spesso neppure a cogliere la gravità estrema di certi
fenomeni. E non si pensa seriamente alla soluzione, dei conflitti che anzi
spesso vengono alimentati “ad arte” in funzione di interessi economici o
strategico militari dei potentati mondiali. E' la politica che deve intervenire
a livello mondiale, vedendo cosa fare di questa ONU impotente e quali nuove
grandi intese si possono promuovere, per realizzare le condizioni atte ad
ottenere la democratizzazione degli stati nazionali e la risoluzione delle
controversie internazionali senza il ricorso alle armi. Ogni focolaio di guerra
ogni conflitto è una sconfitta per l'intera umanità.
La via della
pace e della lotta contro la violenza e i soprusi è ardua, ma è l’unica che
possa produrre qualche risultato concreto.
Ma ci sono
altri dati, su cui occorrerebbe soffermarsi ampiamente, ma che converrà
sintetizzare. Uno è la presenza, in Europa, di Paesi che stanno assumendo
sempre di più connotati autoritari, se non addirittura totalitari (Ungheria e non solo; basti per tutte
l’esempio delle recenti votazioni in Polonia, che hanno portato al potere una
destra di tipo neofascista). Questo – di per sé – dovrebbe essere incompatibile
con un’Europa che ha vissuto drammaticamente i disastri delle dittature e dei
regimi autoritari. Ma è comunque grave, oggettivamente, e pericoloso, perché i
processi imitatori sono sempre alle porte e, d'altronde, bisogna convincersi
che in un mondo in cui ormai tutto è ravvicinato, la perdita di libertà di un
Paese è, allo stesso tempo, una restrizione della libertà e della democrazia
per tutti. E poi la storia non va mai dimenticata, con i suoi preziosi
insegnamenti. “Né deve essere sottovalutato il fatto che la rinascita del
neonazismo in diversi paesi dell’Est, ha motivazioni spesso peculiari, in aggiunta
ad una antica tradizione di antisemitismo”.
Il secondo
dato è l’ideologia nazista, che sembrava sconfitta dalla storia e perfino dalla
realtà, e torna a farsi strada in modo prepotente: ci sono nazisti nel Governo
ungherese e in Paesi vicini, ce ne sono nel governo dell’Ucraina, sono presenti
in modo abbastanza organizzato in tutta Europa (ne abbiamo un esempio nei
frequenti raduni, apparentemente poco significativi, che avvengono in Italia e
specialmente in Lombardia, in stretto collegamento con i movimenti neofascisti,
di vario tipo, esistenti nel nostro Paese). C’è la sensibile percentuale di
voti (impensabile nel passato) raccolti da “Alba Dorata”, nelle recenti votazioni in Grecia.
Infine, e non
è certo l’ultimo dei fattori di preoccupazione, anzi, di angoscia, c’è il
fenomeno dei “migranti”, che esiste da tempo, ma che, di recente, ha assunto
forme, dimensioni e proporzioni epocali. Agli sbarchi ed ai cadaveri, di cui è
pieno, ormai, il Mediterraneo, si è unita – più di recente – la forte pressione
di quantità rilevanti di persone che provengono dalla Siria e da altri paesi
del Medio Oriente, che creano uno spettacolo altrettanto devastante. Se ci commuove la foto del bimbo morto e gettato a
riva dal mare, non possiamo che provare altrettanto dolore e angoscia nel
vedere le interminabili code di persone che si affollano ai confini
dell’Ungheria, dell’Austria, della Slovenia e della Croazia, capaci di fare
centinaia di chilometri a piedi, per raggiungere una meta non sempre possibile;
ed anche qui sono moltissimi i bambini necessariamente coinvolti. Si tratta di un fenomeno di
proporzioni enormi, inarrestabile (da “governare”, semmai) e non risolvibile,
certamente, con i muri e il filo spinato, che si stanno diffondendo in modo
allarmante in vari Paesi d’Europa ma con il ripristino di una vera pace, di una giustizia
reale, del rispetto dei diritti umani nei territori da cui scappano e non con
la proclamazione del solito fantoccio di comodo dei potenti della Terra.
Occorre,
invece, mettere da parte gli egoismi nazionali e personali e cercare –
con saggezza e fermezza – di risolvere il problema, tutti insieme, cercando di
colpire duramente chi specula sulla vita
e sulla paura delle persone, ma trovando anche il modo di sciogliere alcuni
nodi di fondo (primi fra tutti la pace nel mondo, le grandi disuguaglianze, la
fame, l’assoluta incuria per la salvaguardia dell’ambiente); e occorre
risolvere il grande problema dell’accoglienza, che non vuol dire solo ricevere,
ospitare, rifocillare i “profughi”, ma – se tali sono – accettarli, consentire
loro di inserirsi nel contesto economico e sociale dei Paesi che li ospitano,
puntando a trasformarli, in futuro, in cittadini, a cui insegnare anche la
lingua e le regole del Paese in cui si trovano. Solo in questo modo un problema
biblico,
può assumere i caratteri, non solo della solidarietà, ma anche quelli di
un inserimento (integrazione) positivo e valido nel tessuto produttivo e
sociale degli “ospitanti”, come già in molti casi sta avvenendo.
L’accoglienza per chi fugge da conflitti, regimi repressivi,
fame e povertà, è doverosa fin quando non verranno ripristinate regole
democratiche, di giustizia e umanità in quei paesi. Ogni tentativo di
selezionare questa massa di disperati, in base a ridicole quote o cavilli
burocratici sul riconoscimento o meno di un conflitto, o ancor peggio facendo
riferimento alla razza, alla religione, alla professione, condannerebbe a morte
quasi certa chi non avesse tali requisiti, riesumando forme odiose di
discriminazione. Purtroppo, questo è un terreno ancora difficilmente
praticabile per un Europa così poco unita e in cui, dimentichi del passato,
prosperano Paesi in cui regna soprattutto l’egoismo. Bisognerà moltiplicare gli
sforzi perché l’Europa faccia il suo dovere, ed anche il nostro Paese sia alla
testa di quelli che vogliono affrontare il problema con serietà e umanità.
Tra questa
Europa che impiega mesi per arrivare ad una decisione che vincoli tutti gli
Stati appartenenti (e non si sa se e in che misura la si applicherà davvero,
soprattutto nei confronti dei Paesi che appartengono all’Unione europea) e
quella sognata da Altiero Spinelli, c’è veramente un abisso. Bisogna compiere
ogni sforzo perché l’Europa assuma il ruolo che veramente le compete, con reale
unità e capacità di decisione e con un Parlamento che sia veramente tale e che
conti. Bisogna, in definitiva, insistere perché l’Europa divenga davvero
l’unione di popoli e Paesi, sulla base di solidi indirizzi di democrazia,
solidarietà e giustizia sociale e riesca ad assumere un forte ruolo
internazionale.
Il dato veramente positivo, in un
quadro così impressionante e complesso, è il risveglio di qualcosa che sembrava
sopito o addirittura oscurato: la solidarietà. Non solo in Italia, dove da
tempo, il Mezzogiorno, la
Marina e tanti altri fanno cose impossibili e incredibili per
salvare almeno il salvabile, ma anche in Europa, perfino in Ungheria, in Austria, in Slovenia,
si è risvegliata una solidarietà popolare, istintiva ma solida, che ci aiuta a
sperare nel futuro. E’ necessario che tutti i Governi siano sensibili a questa
pressione popolare e trovino finalmente il modo di realizzare, su tutto ciò che
occorre, interventi efficaci. Questo è tanto più importante se si pensa all’ondata di razzismo e xenofobia, spesso realizzata
nel modo più becero e volgare, che sta percorrendo quasi tutti i Paesi
dell’Europa, risvegliando antichi pregiudizi, radicati egoismi e perfino profonde spinte nazionaliste. Per concludere sul punto, va
incoraggiata (e praticata) la solidarietà e va esercitata una reazione pronta
ed efficace contro i rinascenti razzismi. In questo contesto, occorre porsi il
problema di come l’ANPI possa contribuire al risveglio, rilancio e sviluppo di
un vasto movimento popolare, impegnato sui temi della solidarietà, della pace
dei diritti umani.
Il
quadro italiano
In questo caso, la situazione è ben diversa, almeno per
alcuni aspetti, rispetto a quella cui si riferiva il documento del 2011. Non
c’è, praticamente più Berlusconi e si è frantumata la destra. Ma i disvalori
alla base di quella stagione sono penetrati profondamente nel tessuto sociale
finora non è stato fatto abbastanza per
contrastarli e sostituirli con i valori della Costituzione. Poi c’è un’orda
selvaggia - a destra - che avanza proponendo – appunto – i peggiori richiami al
razzismo, alla xenofobia ed agli istinti “umani” (perfino comprensibili, in
periodi di crisi, ma mai accettabili). E’ possibile che gli ultimi spezzoni
della destra si concentrino, almeno ai fini elettorali, col nuovo volto della “Lega
di Salvini”; non ne trarrebbero giovamento né il Paese, né la qualità della
politica.
Sui governi,
tecnici e non, che si sono susseguiti dal 2011 in poi non spetta a
noi esprimere un giudizio politico e complessivo ma si può rilevare un mancato rispetto del
risultato delle urne, che aveva espresso indirizzi diversi, in virtù dei
programmi proposti in campagna elettorale, tendente sempre più a limitare la
volontà popolare, grazie anche a ‘riforme’ che hanno cancellato l’elettività
dei consigli provinciali e che si propongono di fare altrettanto con il Senato
della Repubblica. L’ANPI deve però registrare criticamente un
fenomeno allarmante che già cominciava a profilarsi negli anni precedenti, ma
che ora tende a manifestarsi in modo sempre più tangibile.
Prima di tutto,
bisogna dire che è in atto un piano che tende a cancellare i
principi fondamentali della nostra Costituzione. Con l'introduzione del
pareggio di bilancio si è data una ulteriore spallata ai principi contenuti
nella nostra carta Costituzionale che ora non risulta più essere quella
originale, è qui importante ricordare il famoso rapporto della società di
rating J.P. Morgan “The Euro area adjustment: about halfway there” del 28
maggio 2013, in
cui si dice “Le costituzioni e i sistemi politici dei paesi dell’area
meridionale, adottate in seguito alla caduta del fascismo, presentano
caratteristiche che appaiono inadatte a favorire l’integrazione” e “Le
Costituzioni mostrano una forte influenza socialista, evidenziando la forza
politica che i partiti di sinistra hanno guadagnato dopo la caduta del
fascismo” ed ancora “I sistemi politici
della periferia tipicamente hanno le seguenti caratteristiche: esecutivi
deboli, stati centrali deboli rispetto alle regioni; tutela costituzionale dei
diritti del lavoro; costruzione del consenso che rafforza il clientelismo
politico; e il diritto di protestare se vengono fatte delle modifiche non
gradite dello status quo politico.” , da cui uscì l’idea della necessità di
cambiare tutte le Costituzioni, proprio in relazione ad intrinseci e comuni
difetti dovuti appunto come citato alla loro nascita a seguito della caduta del
fascimo e nazismo in europa. Ma questo non è che l'epilogo di una lunga storia
iniziata già pochi anni dopo la sua promulgazione e seguita negli 60 e 70 con
la legge truffa e i tentativi di golpe e
seguita dal piduismo che porta ai piani di Licio Gelli con il “piano di
rinascita nazionale” sequestrato e venuto alla luce nel 1982.
C’è stato chi voleva addirittura cambiare le regole che disciplinano le sue
modifiche (l’art. 138, che disciplina il modo per modificare la Carta). Superata quella
fase, ne è venuta un’altra, in cui – col pretesto di modificare alcuni difetti
del bicameralismo paritario “perfetto” (sul che, era possibile raggiungere
subito un accordo generale, scegliendo tra i modelli, di bicameralismo
“corretto”, presenti anche in Europa) si è messo mano ad una riforma che ha tutta
l’aria di togliere di mezzo (o comunque svuotare) uno strumento di garanzia,
cioè addirittura un Senato degno di questo nome.
Nonostante ogni correzione, si è andati avanti su questa
strada, che condurrebbe – in definitiva – con l’aggiunta di una legge
elettorale aberrante, a concentrare tutti i poteri su una sola Camera,
riducendo, se non eliminando, il prestigio e il connotato di “contro potere”
che il Legislatore costituente aveva attribuito al Senato. Una soluzione
fortemente contrastata dall’ANPI, non per conservatorismo (sono assolutamente
possibili modifiche costituzionali, purché rispettino le linee fondanti e il
“sistema” equilibrato di poteri, contro-poteri e garanzie, dettato dalla
Costituzione), ma perché, così facendo, si ridurrebbero gli spazi di
democrazia, si inciderebbe fortemente sulla rappresentanza dei cittadini, si
svilirebbe il ruolo di quel Senato che, in molti Paesi, è addirittura la Camera più “alta”, quella
più prestigiosa, dotata di maggiori competenze anche sul piano culturale e
scientifico. La legge elettorale, poi, più volte rimaneggiata, sembra fatta ad usum delphini, cioè a vantaggio di un
presunto vincitore che, con l’aiuto di un forte premio di maggioranza potrebbe
diventare – senza neppure più l’ostacolo del Senato – il padrone del Paese o
quantomeno del Parlamento.
Ed anche in questo caso, anziché restituire la parola ai
cittadini, come ha invocato la stessa Corte costituzionale, gliela si toglie
ancora una volta, prefiggendo una platea con troppi “nominati”, oltre ad un
sistema che, in caso di ballottaggio, consentirebbe a chi prevalesse, di “
vincere “ con pochi voti.
Di fatto, questa riduzione degli spazi di democrazia si è
realizzata anche in altri modi, imponendo una sorta di supremazia del Governo
sul Parlamento (è il Governo che, spesso, detta l’agenda e i tempi del
Parlamento), svuotando quest’ultimo del suo potere dovere di discussione e
riflessione, attraverso il sistema dei decreti legge, delle leggi delega
praticamente in bianco (contrariamente al disposto dell’art. 76 della
Costituzione), e dei numerosissimi voti di fiducia, con i quali si toglie la
possibilità stessa di discutere e formulare proposte ed emendamenti.
Non possiamo non essere
preoccupati di questo modo di pensare e di agire, così lontano dal disegno
costituzionale e spesso dalle regole fondamentali della democrazia. Le quali,
fra l’altro, impegnano a favorire la partecipazione popolare, laddove anche su
questo piano si riducono alcuni spazi, si mettono in discussione gli organismi
intermedi, si ironizza sui sindacati (riconosciuti e disciplinati dalla
Costituzione), evitando e svuotando ogni forma vera di confronto.
Per chi crede nei valori della Costituzione e della
democrazia, si tratta di dati che non possono che preoccupare, invitando i
cittadini a reagire nel modo che loro compete, cioè la partecipazione. Ma anche
questa difetta, come dimostrano i dati elettorali, secondo i quali il complesso
dei non votanti e degli astenuti, sommati, costituirebbe il partito più forte.
E questo è grave e bisognerebbe che se ne convincessero i tanti delusi dalla
politica, che, peraltro, reagiscono nel modo più sbagliato, anziché esercitare
(art. 1 della Costituzione) la sovranità popolare. Non ci sfugge, peraltro, che
anche il “non voto” finisca per costituire una scelta politica o comunque
assumere un significato politico come non bisogna dimenticare che anche quando questa partecipazione
popolare si manifesta, come nei casi dei referendum del 2011 sulla
ripubblicizzazione dei servizi locali, tale volontà non viene ripresa ed
applicata dai governi. Infatti, non solo non si è ancora avviata la
ripubblicizzazione dell’acqua e degli altri servizi pubblici locali, ma sono
addirittura state approvate leggi che vanno nel senso opposto dando vita a
nuove privatizzazioni. E’ evidente come tutto questo spinga ancora di più i
cittadini verso un rifiuto delle politica e le scelte astensionistiche.
Intanto, continuano ad essere predominanti le
disuguaglianze sociali; ed è impressionante il dato secondo il quale il 28%
degli italiani si starebbe sempre più avvicinando al livello della povertà,
dimostrando così che dalla crisi non sono state colpite solo le classi più
deboli, ma anche quelle che un tempo godevano di un minimo di sicurezza, sul
piano economico e sociale. Infine, (ma non per minore importanza) c’è il fatto
fondamentale che questa Repubblica non corrisponde al modello costituzionale,
che non mette sullo stesso piano capitale e lavoro ma dà a quest’ultimo il rilievo
di un valore “primario”. Un dato che non si può non rilevare, non solo in
relazione ad una serie di provvedimenti, che vanno in direzione diversa
rispetto al citato modello costituzionale, ma anche in rapporto a linee di
tendenza pericolose, che ignorano l’importanza dei gruppi intermedi e
sviliscono il ruolo stesso delle organizzazioni sindacali.
Tutto questo non può che essere un forte motivo di
preoccupazione e, come si vedrà più avanti, di impegno per l’ANPI.
La politica
L’ANPI è, per
definizione, contraria all’antipolitica, che così spesso viene alimentata nel
nostro Paese, non solo da ciò che si legge sulla stampa, ma anche dagli stessi comportamenti dei
politici e dalla politica nel suo complesso.
Basta leggere
alcuni organi di stampa, anche i più “benevoli”, per rilevare che è in atto, da tempo, una profonda degenerazione
della politica, dei partiti, dei comportamenti politici.
Inutile fare esempi:
si tratta di un fenomeno più volte denunciato dall’ANPI con documenti
pubblici. nei quali si è sempre avuto
cura di distinguersi dai mestieranti dell’antipolitica. Ma è convincimento
diffuso che senza un profondo rinnovamento (sarebbe meglio dire una “rigenerazione”)
della politica, questo Paese non ha serie prospettive davanti a sé. Ai
trasformismi, alla caduta dei valori anche in Parlamento e nei partiti, si sono
aggiunti fenomeni ancora più deprecabili: le connessioni tra politica e
delinquenza organizzata, di cui abbiamo avuto molti esempi, e soprattutto nel
centro-sud, ma alla fine in tutto il Paese, che ora hanno raggiunto l’acme con
quella vicenda che è stata definita in modo incisivo come “MafiaCapitale” preceduta dai casi dell’Expo di Milano e dei lavori alla Tav.
I partiti sono
assolutamente necessari, ma devono rispondere ai connotati di cui all’art. 49
della Costituzione; essi rappresentano – se corrispondono a quella tipologia –
una profonda garanzia democratica. Ma, ripetiamo, essi devono cambiare
completamente, con un diverso concetto della democrazia, con assoluto rigore
morale, con piena aderenza alla finalità loro imposta, che è quella di
perseguire, col proprio, l’interesse comune.
E’ necessario, in
questo Paese, porre con forza la “questione morale”,come una tra le più
fondamentali e imprescindibili. Altrimenti, la corruzione, l’illegalità e il
mancato rispetto anche di quelle regole che corrispondono al comune sentire,
anche se non accompagnate dalla minaccia di una sanzione, finiranno per
travolgere tutto, Istituzioni e società civile.
Accanto alla questione
morale, si pone – con forza - la “questione meridionale”; proposta già
fin da prima del fascismo da politici e studiosi, ma non ripresa in modo
adeguato dopo la
Liberazione del Paese. Di recente, dalla pubblicazione di
alcuni dati è emersa una situazione particolarmente e drammaticamente
significativa, risultando in alcuni casi, la condizione occupazionale
addirittura peggiore rispetto a quella della Grecia.
Non si tratta,
peraltro, di immaginare qualche sporadico intervento, ma occorre una rivoluzione
etica che spazzi via il cronico clientelismo spesso connesso all’affarismo
politico-mafioso, che stimoli le attività produttive, incrementi
l’occupazione e provveda alla tutela dell’ambiente e dell’enorme patrimonio
culturale e artistico, che tutto il mondo ci invidia, ma che non riusciamo a
valorizzare, talora neppure a difendere; il tutto nel contesto di una nuova
concezione morale della vita politica e sociale.
PARTE
SECONDA
RUOLO, COMPITI E IMPEGNI
DELL’ANPI
Nel quadro che si
è cercato di delineare, il primo compito dell’ANPI, non può che restare ed
essere quello più tradizionale e consono
alle sue stesse finalità:
LA MEMORIA
Bisogna riconoscere che questo ruolo
l’Associazione lo ha svolto ininterrottamente, dalla Liberazione in poi, spesso
quasi da sola. Il Paese sembrava desideroso di dimenticare; i revisionisti e i
negazionisti si sono posti subito all’opera, svolgendo in modo massiccio il
loro non apprezzabile mestiere.
Ma l’ANPI era lì, a
ricordare i caduti, a celebrare il 25 aprile, a portare corone, a favorire la
costruzione di monumenti, a segnalare i sentieri della guerra partigiana, a
rispettare i combattenti della libertà ed a recare loro omaggio.
Si può dire senza
tema di smentita che, se qualcosa è rimasto e, in qualche modo si è radicato
nella coscienza popolare, sull’antifascismo, sulla Resistenza, sulla
Liberazione, il principale merito va riconosciuto all’ANPI; altrimenti, sarebbe
caduto l’oblio o sarebbe stato tutto ridotto a qualche formale celebrazione. In
questo lavoro, può darsi anche che l’ANPI abbia commesso errori o abbia avuto
difetti; la necessità di reagire a chi negava può aver condotto ad assolutismi
e mitizzazioni inutili. Ma di tutto questo l’ANPI più recente si è liberata,
spingendo sempre di più nella direzione della memoria attiva, come un valore
fondamentale.
Doveroso il ricordo
degli eventi e dei caduti; ma necessaria anche la riflessione pacata e serena
sul passato, l’informazione, la diffusione della conoscenza, senza cadere nelle trappole del revisionismo storico che vorrebbe
riscrivere i fatti per un uso di pretesa “pacificazione” o di diffamazione come quelle usate da alcuni "storici" di
parte contro i partigiani jugoslavi e il IX corpus dell’esercito di liberazione
jugoslavo. E questo ha, in qualche modo, funzionato
e, deve funzionare ancora di più e
meglio, soprattutto quando verranno a mancare le testimonianze dirette.
Gradatamente si è
capito che la memoria (che notoriamente ha molti nemici) ha bisogno di essere
considerata come un valore in sé e di essere coltivata come una pianta, bella
ma fragile.
Oggi, le corone si
portano ancora, ed è giusto; si ricordano i combattenti e i caduti ed anche questo è giusto, e bisogna
continuare senza cedimenti; ma si impone qualcosa di ancora più forte sul
terreno della conoscenza e della riflessione.
Da ciò l’impegno per
dimostrare che la
Resistenza non è stata solo quella armata ma anche quella non
armata; che non è stata fatta solo dagli uomini, ma anche dalle donne, con non
minore impegno; che non esiste solo una “Resistenza del nord” perché si tratta
di un fenomeno nazionale, cui ha partecipato attivamente il Mezzogiorno; che la
guerra ai civili non l’hanno fatta solo i tedeschi ma anche i fascisti; che ci
sono state stragi orrende da parte soprattutto di certi reparti tedeschi ma con
la partecipazione e la connivenza anche dei membri della RSI.
Da ciò, il
nostro impegno anche sulle stragi del ’43-’45 (abbiamo convinto la Germania a finanziare
l’“Atlante delle Stragi”) e il nostro lavoro per rimuovere gli effetti nefasti
dell’”Armadio della vergogna”, In questo quadro per poter tentare di incidere nella memoria
collettiva e nel senso comune del Paese, riteniamo che sarebbe importante ed
utile istituire una giornata nazionale di ricordo e riflessione sulle stragi
nazifasciste da tenere ogni anno, in modo da diffondere la conoscenza e la
riflessione su quanto avvenuto sia nell’opinione pubblica che tra le giovani
generazione. Da ciò la nostra riflessione sui “Confini Orientali”, sull’Esodo,
anche sulle foibe anche contrastando l’offensiva del revisionismo storico, a
partire dall’analisi dei delitti e dei guasti compiuti per decenni, dal
fascismo, in danno di quelle popolazioni. Da ciò il nostro impegno per ottenere e rendere più efficace
l’insegnamento della storia della seconda guerra mondiale nella nostra scuola
(va ricordato il protocollo d’intesa sottoscritto il 24 luglio 2014 col
MIUR).
Tutto questo è stato
fatto, si fa, e si dovrà fare sempre . Siamo nati, come Associazione,
anche per questo, per tenere viva la memoria, per far capire da dove è nata la
nostra libertà, la nostra Costituzione.
Questo impegno resta primario, anche se
vi saranno crescenti difficoltà; ma sta all’ANPI educare al culto della memoria
attiva anche le nuove generazioni i futuri dirigenti, convincendoli che
un’Associazione che non curi le sue stesse radici non avrebbe senso e
perderebbe ogni sua autorevolezza.
Naturalmente, condizione principale,
per sopravvivere e andare avanti è che la memoria - pur attiva - non resti l’unico
nostro impegno. Sarebbe un grave errore se non lo considerassimo il primo di
una lunga serie, che ora è il caso di scorrere.
GUERRA E PACE
Non può più trattarsi di un obiettivo
generico. Per la pace bisogna operare in ogni sede e in ogni momento,
stimolando l’attenzione e l’impegno dei cittadini ai quali bisogna rendere
evidente il rapporto indissolubile tra pace-democrazia-libertà-uguaglianza.
Senza la pace, tutto viene messo a rischio. Bisogna far conoscere gli orrori
del fascismo e della Seconda guerra mondiale e far considerare ogni guerra come
un disastro, in sé, e dunque togliere di mezzo ogni fattore di rischio.
La crisi economica mondiale ha non solo inasprito tutte le
tensioni esistenti, ma viene dimostrando
che il modo di produzione dominante si alimenta della guerra per
riprodursi e sopravvivere. La guerra non è la risposta al terrorismo, che
invece alimenta, ma viene generata da sporchi interessi per sporchi affari,
dallo scontro sulle fonti energetiche, dai conflitti di potenza, dalla vendita
delle armi. Non bastano allora gli appelli ideali o retorici quando la
guerra già dilania interi continenti divampando nel cuore dell'Europa ed alle
sue porte, quando la corsa agli armamenti ha ripreso tutta la sua forza
assorbendo enormi risorse che vengono sottratte allo stato sociale.
Gli effetti di 25 anni di politica di guerre della Nato e
dell'Italia in Irak, Libia, Jugoslavia, Iran, Afghanistan sono sotto gli occhi
di tutti. Devastazione di intere regioni, fame e miseria, esodi biblici verso
l'occidente (ma non solo: la Giordania ad es. è piena
di profughi) e la mortifera piaga del terrorismo, fomentato dalla
disperazione quando non direttamente finanziato dagli stessi strateghi senza scrupoli
della tensione internazionale. In Italia da tempo i governi violano l’articolo
11 della Costituzione e il nostro paese è sempre più coinvolto nella guerra,
con la vendita di armi e l’invio di militari. E' pertanto necessario un impegno di concreta mobilitazione
contro la guerra cui l'Anpi non vuole sottrarsi, insistendo a gran voce, in
continuità con il congresso di Torino per un cambio di direzione politica che
si ponga nel pieno rispetto della Costituzione, per il ritiro immediato delle
forze armate del nostro paese dai teatri di guerra, a cominciare
dall'Afghanistan per ridiscutere tutte le operazioni in corso. Così come ci
poniamo contro l'assurda spesa prevista per l'acquisto dei caccia bombardieri
F35, per il taglio delle spese militari e la fine dello sporco
commercio delle armi, per la chiusura delle basi straniere sul nostro
territorio. E' altresì necessario agire per una giusta soluzione del
conflitto mediorientale, a cominciare dall'operare per il riconoscimento dello
Stato di Palestina.
IL SUPERAMENTO DELLE DISEGUAGLIANZE SOCIALI,
così come di ogni
forma di discriminazione. Si tratta di pretendere l’applicazione
rigorosa dell’art. 3 della Costituzione, in tutti i suoi aspetti, compresi
quelli meno esplicitati: libertà ed uguaglianza anche come presupposto di
dignità della persona. Bisogna rendere chiaro a tutti che le disuguaglianze
sono all’origine di ogni conflitto.
L’INTRANSIGENTE DIFESA DELLA
COSTITUZIONE E DEI SUOI VALORI.
Questo non significa conservatorismo e
rifiuto di ogni modifica, ma contrarietà ad ogni tentativo di stravolgere
le linee portanti, i valori, i principi della Costituzione, che è il fondamento
della nostra stessa convivenza civile. Si tratta di impegnarsi a fondo contro
riforme che incidano non solo sul tessuto costituzionale, ma sulla struttura
dello Stato e sui diritti dei cittadini. Il sistema costituzionale è costruito
sulla base di poteri e contropoteri e di organi di garanzia. Se si elimina (o
si riduce ad un ibrido impotente) una delle due Camere, si incide sul sistema,
proprio perché si riduce un contropotere e si incide sulla rappresentanza,
dunque sulle modalità stesse di esercizio della sovranità popolare. Per le
stesse ragioni, anche se non si tratta di materia inserita nella Costituzione,
benché ad essa strutturalmente collegata e pertinente, non si può che essere
contrari a qualsiasi legge elettorale che non dia la parola effettiva ai
cittadini e che ne alteri in modo consistente la volontà, con notevoli premi di
maggioranza. Anche in questo caso, si tratta di spazi di democrazia che vengono
meno. E dunque non si può cedere su nessuno di questi fronti, pur indicando per
chiarezza quali sono, a giudizio dell’ANPI, le alternative alle proposte che
vengono avanzate o alle leggi approvate in modo singolare dal Parlamento,
specificando sempre la rispondenza assoluta di tali alternative alla volontà
del Legislatore costituente.
Bisogna dire con chiarezza che l’ANPI
non è contraria a modifiche della Costituzione, ove l’esperienza le renda
necessarie, ma i principi fondamentali della stessa non
possono essere messa in discussione, si è sempre detto che il
sistema del bicameralismo perfetto doveva essere corretto; ma una cosa è
correggere ( e l’esperienza di altri Paesi insegna), altro è stravolgere il
sistema, per di più, con tempi e modi che non corrispondono al livello di
importanza costituzionale di simili provvedimenti. Voti di fiducia, superamento
del lavoro delle Commissioni per andare subito in Aula, con predisposizione
rigorosa dei tempi degli interventi ed altre operazioni simili non si addicono
alle riforme costituzionali e nemmeno alle norme che hanno un valore
costituzionale, che richiedono invece riflessione, ponderazione ed estremo
rispetto per la Carta
costituzionale.
Un terreno, questo,
sul quale l’ANPI si è mossa e si sta muovendo con fermezza e con sostanziale
unità di intenti. Un terreno sul quale non si può cedere o accettare
compromessi, perché in gioco, appunto, la rappresentanza dei cittadini e dunque
la democrazia.
L’intransigenza non è un male, anzi è doverosa e va
realizzata con tutti i mezzi democratici a disposizione quando si verte su questioni di primaria
importanza. Oggi come ANPI abbiamo l'esigenza di essere in prima linea nella
richiesta del ripristino della Costituzione del 48 nei suoi valori e nei suoi
principi. Carta mai applicata e spesso considerata “troppo democratica” e per
questo rimaneggiata già in diverse circostanze, come nel 2012 con la modifica
dell’articolo 81 imponendo di fatto il pareggio di bilancio definito da molti costituzionalisti
un “corpo estraneo” alla nostra Costituzione. L’esistenza di vincoli economici
imposti con tale modifica e dai Trattati dell’Unione Europea risultano pertanto
incompatibili con i diritti contenuti nella Carta stessa, si pensi solamente all’articolo
3 che pone la necessità di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale
che limitano la libertà e l’eguaglianza.
Dobbiamo quindi essere a fianco e promotori noi stessi di
comitati in difesa della Costituzione e nel prossimo futuro alla testa dei
movimenti per il no alle riforme avviate in maniera sciagurata in ossequio dei
mercati e in nome di un' Europa delle banche.
“Nessuna
Costituzione è mai servita a dare la libertà se a difesa di questa non vi sono
state la coscienza dei cittadini, la loro forza e la loro capacità di
schiacciare ogni tentativo reazionario. La Costituzione è una
garanzia sì, ma essa non ci garantisce contro i pericoli che oggi minacciano la
democrazia italiana. La vera garanzia sta nella forza e nello sviluppo del movimento
democratico di masse popolari” . Parole scritte nel lontano 1948 da Palmiro
Togliatti e più che mai attuali oggi, nella profonda crisi economica, sociale e
valoriale che le giovani generazioni devono affrontare e cercare di risolvere.
L’ATTUAZIONE DELLA COSTITUZIONE
Forte deve essere l’impegno nel pretendere che, finalmente
i princìpi vengano attuati ed i diritti
resi effettivi ed esercitabili. Non si tratta, in questo caso, di ingaggiare
singole battaglie, che spesso sono di competenza dei partiti, dei sindacati e
di altre forme associative.
L’ANPI deve essere ferma sul principio che le indicazioni
che la Costituzione
dà in ripetute occasioni, ai futuri governi,
sono, in realtà “ordini” e come tali vanno eseguiti, certamente in
conformità con i tempi e con i problemi economici, ma mai trattati come se
fossero mere astrazioni, e deve pretendere (diciamo “pretendere” con
forza e consapevolezza) che il lavoro venga rimesso al centro della politica
e della stessa realtà sociale del Paese.
L’ANPI può
partecipare direttamente a tutte le lotte democratiche, su temi singoli e ha il
dovere di tenere fermi i princìpi e di appoggiare, dunque, tutte le battaglie che su questo piano
vengono ingaggiate con metodi democratici.
LAVORO
Marzo 1943, gli scioperi operai paralizzano le fabbriche del
nord, è il primo momento di resistenza di massa al regime fascista, l'atto
di origine del movimento che porta all'insurrezione del 25 aprile 45. A partire da questa
considerazione, in cui affondano le radici stesse della nostra associazione,
appare evidente come un ruolo prioritario ha assunto e devono assumere per noi
i lavoratori. La classe lavoratrice che ha contribuito in maniera consistente
alla Resistenza deve continuare oggi ad essere il principale soggetto di riferimento.
Quindi la necessità di un maggior radicamento nei luoghi di lavoro ed il
contrasto netto a tutte le leggi che, violando i principi e valori
costituzionali, distruggono i diritti dei lavoratori, assumono un ruolo
strategico per l'Anpi.
Si ricordi che numerosi articoli della Costituzione Italiana
(1,3,4,35-47) difendono, garantisco e tutelano il diritto al lavoro e gli
stessi lavoratori, ponendo sia limiti all'iniziativa economica privata che non
può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale (41), sia riconoscendo per
fini di utilità generale l'espropriazione di determinate imprese che si
occupano di servizi pubblici essenziali o di fonti di energia affidandone la
gestione allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti
(43). Un’indicazione che potrebbe essere utilizzata anche per le numerose
aziende che chiudono o delocalizzano portando via macchinari e licenziando i
lavoratori ma anche rendendo evidente la necessità che i servizi di utilità
sociale siano svolti direttamente dal pubblico anziché affidati a ditte esterne
con tutto quello che ciò rappresenta in termini di sfruttamento dei lavoratori,
corruzione ed aumento dei costi.
Tutto questo mentre le attuali controriforme sul lavoro (c.d.
Jobs Act) rappresentano la tomba dei diritti cancellando l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, garantendo alle imprese
la libertà di licenziamento, trasformando i nuovi assunti in “precari a tempo
indeterminato”, mettendo in discussione tutti i diritti fondamentali del
rapporto di lavoro garantiti dallo Statuto dei Lavoratori come il controllo a
distanza e il demansionamento, la copertura della cassa integrazione, ordinaria
e straordinaria e della mobilità. Una legge che non può essere accettata e su
cui l'ANPI tutta deve impegnarsi per ottenerne la cancellazione.
LIBERTÀ E UGUAGLIANZA
Sono due temi posti con forza dall’art. 3 della
Costituzione, riassumendo così anche il principio di non discriminazione.
La battaglia da condurre su questo terreno, riguarda: 1) l’impegno
contro ogni forma di razzismo, di xenofobia; un terreno sul quale ci si
deve battere sia respingendo gli attacchi vergognosi che vengono da alcune aree
della destra, sia compiendo atti positivi di solidarietà e di sostegno ai
migranti e rifugiati. In questo campo, c’è bisogno di un attivismo maggiore di
quanto sia stato impegnato fin ora, sia per reagire, sia per operare. Bisogna
impedire che trionfino, appunto, i razzismi di ogni genere, così come gli
attacchi ad ogni forma di “diversità”, e bisogna ostacolare, con raziocinio e
fermezza, la rinascita degli egoismi e le reazioni talora istintive di chi, a
sua volta, soffre, ma teme di perdere qualcosa del poco che ha. Su questo,
bisogna parlare con le persone, appoggiare il volontariato, insomma rendersi
parte attiva in una battaglia ormai epocale denunciando
a gran voce lo sfruttamento dei migranti, costretti a fuggire dalle guerre e
dalla dittatura economica delle multinazionali, come forza lavoro in nero o
sottopagata sia da parte della criminalità organizzata che da parte della
classe padronale che può così disporre di una manodopera ricattabile per
ridurre e cancellare i diritti di tutti i lavoratori. Va contrastata inoltre
l’ignobile speculazione perpetrata dal corrotto sistema dell’accoglienza del
nostro paese.
2) L’impegno per la reale “uguaglianza” (usiamo il
termine costituzionale) per le donne. Ci sono stati notevolissimi progressi, su
questo terreno; l’insegnamento delle donne resistenti, alla lunga, ha inciso
sul processo di emancipazione; ma non esistono ancora condizioni di piena
parità, né nel lavoro, né nelle funzioni pubbliche; il doppio lavoro continua
ad essere la regola, almeno per tutte coloro che hanno un reddito medio; lo
sviluppo di carriera è ancora ostacolato dalla mancanza di servizi sociali adeguati.
Infine, non è maturata ancora una piena coscienza del ruolo fondamentale della
donna nella nostra società, della sua libertà e delle sua autonomia, se per un
rifiuto si può ancora uccidere e se nella vita familiare troppo spesso prevale
il dominio – se non addirittura la prepotenza - del maschio. Anche questa è una battaglia “nostra”, che l’ANPI deve combattere in toto e non
pensando di riservarla alle donne. Bisogna ricordare sempre che il loro
avanzamento, le loro preoccupazioni, la loro piena dignità sono fattori
fondamentali per il progresso dell’intera società.
ANTIFASCISMO
Un Paese che ha subito più di vent’anni di dittatura, con
tutto quel che segue, dovrebbe essere profondamente antifascista. E tale è
l’indirizzo complessivo anche della nostra Carta Costituzionale. Non è così.
C’è, dunque, ancora molto da fare per ottenere che tutti sappiano che cosa è
stato il fascismo, che cosa è stata la Resistenza e perché non è possibile vedere ancora
in azione movimenti che si ispirano al fascismo (sia pure, per alcuni, a quello
del “terzo millennio”). La verità è che a differenza di altri Paesi, l’Italia
non ha ancora fatto fino in fondo i conti col fascismo. Accanto all’impegno per
rinnovare profondamente lo Stato, è essenziale una forte iniziativa per incidere
sulla scuola e sulla formazione dei giovani, per rendere i contenuti educativi
coerenti con i valori dell’antifascismo e della Costituzione. A questo impegno bisogna aggiungere quello
perché lo Stato – questo Stato -diventi realmente democratico e antifascista;
un’azione che va condotta con insistenza,
fermezza, con gli organi dello Stato, centrali e periferici, con i
Sindaci, con i Presidenti di Regione, con tutto l’apparato pubblico.
Occorre inoltre reagire con ogni iniziativa pubblica di tipo fascista
ed anche a quel mare di sconcezze che si possono ancora leggere, al riguardo,
su certi siti web.
Sul come reagire c’è sempre stato dibattito, nell’ANPI; e lo
si capisce perfettamente, trattandosi di un problema di non facile soluzione.
Escludendo ogni reazione di tipo violento o che possa
condurre a scontri, non bisogna però far passare sotto silenzio nessuna
manifestazione, pretendendo l’intervento delle Autorità competenti e in ogni
caso organizzando – se del caso - presìdi e assumendo sempre posizioni di
estrema nettezza. Tutto questo, però, ha un valore e può avere efficacia se ci
si muove su diversi terreni contemporaneamente: le reazioni di denuncia
immediata, il presidio, l’intervento presso le Autorità devono essere
accompagnate, da un lato, dalla pretesa che sia lo Stato a mostrare il
suo volto antifascista e rispettare lo spirito della Costituzione, dall’altro
che siano coinvolti – per quanto possibile – i cittadini (tra i quali c’è
ancora molta indifferenza, da vincere spiegando, chiarendo, informando e non
semplicemente turbando le loro attività normali) ed infine con la creazione di
un vasto movimento culturale che si basi sulla spiegazione (soprattutto ai
giovani) di che cosa è stato il fascismo, quali sono i pericoli della rinascita
di movimenti fascisti; cosa bisogna fare per salvaguardare la democrazia da
ogni attacco, diretto o indiretto.
Un’azione
enorme, dunque, che deve coinvolgere la scuola, l’associazionismo, la
società civile, oltre che gli organi dello Stato. Chi mette in sott’ordine
questa battaglia culturale o la considera inutile, non capisce la sostanza del
problema e non tiene conto degli insegnamenti della storia ( la nascita del
fascismo e del nazismo). Di tutto questo
movimento, complesso e non sempre facile, l’ANPI deve essere alla testa, come
erede dei combattenti per la libertà e come tutrice dei valori costituzionali;
abbiamo l’autorevolezza per farlo, ma anche il dovere di essere i primi,
sempre, senza iattanza, cercando l’accordo con tutti gli antifascisti, ma restando
noi stessi. Ci sono località, in Italia, in cui esistono da anni comitati
antifascisti (nati nel periodo del terrorismo) che raccolgono Associazioni e
Partiti e di cui magna pars è sempre
l’ANPI. Essi svolgono la loro attività soprattutto in momenti particolari ( il
25 aprile, situazioni di vera “emergenza” neofascista). Ma il ruolo
fondamentale per il lavoro complesso sopradescritto è dell’ANPI, che è già di
per sé, e può esserlo ancora di più, risultando il punto di riferimento di
tutti gli antifascisti disposti ad affrontare i problemi su tutti i piani e
non solo su quello contingente della reazione ad una specifica iniziativa. Non
occorrono, in linea di principio, comitati nuovi, è l’ANPI che deve avere la
capacità di affrontare tutta la complessa problematica, cercando di non
farlo da sola, creando rapporti costruttivi con tutte le Associazioni
democratiche e il vasto movimento antifascista composto in
particolar modo da comitati e collettivi di giovani. Va
valutata la questione della forza antifascista che non vuol dire reazione
violenta ma capacità di tenere testa allo squadrismo, capacità organizzativa
dei presidi e loro sicurezza, conquistarsi l'affidabilità perchè si è in grado
di gestire il contrasto alle iniziative fasciste. Nel rapporto con le autorità,
affinché intervengano per impedire apologie di fascismo, l'ANPI che si presenti
con determinazione e forza organizzata ha più autorevolezza nel pretendere che
sia lo Stato a mostrare il suo volto antifascista. Anche i comuni cittadini
sarebbero più coinvolgibili dall'ANPI risoluta e predisposta a svolgere
complessivamente il suo compito antifascista.
Non è possibile concludere sul punto senza sottolineare
l’assoluta necessità di rafforzare l’antifascismo a livello europeo. I
neofascisti si organizzano in Europa e fuori, l’antifascismo stenta a fare
altrettanto e di più. C’è la FIR
che stiamo cercando di vitalizzare e stimolare, con qualche (ancora parziale)
successo, c’è il forum dei Paesi
dell’Adriatico, ci sono i costanti rapporti, in Friuli, con le Associazioni
partigiane della Slovenia e la
Associazioni dei combattenti per la libertà dei Paesi
dell’Est. Ma tutto questo va coordinato meglio e intensificato,
anche per poter pretendere dalle istituzioni europee interventi ed orientamenti
più netti e chiari su questa delicata ed importantissima materia.
LEGALITÀ
L’ANPI non può che essere per il
rispetto della legge, anche se - quando la trova ingiusta – è legittimata a
condurre battaglie per farla cambiare. Il principio di fondo è nell’art. 54
della Costituzione, che impone a tutti il rispetto della legge. Questo
significa, prima di tutto, impegno contro la criminalità organizzata,
che nelle forme delle varie mafie sta invadendo tutta l’Italia; un impegno
effettivo e convinto assai più che nel passato, anche contro il pericolo sempre
esistente della connivenza tra le mafie e i poteri pubblici. Occorre stringere
legami più profondi con le Associazioni che già si battono su questo terreno
con notevole capacità di mobilitazione. ma programmare anche una politica
autonoma di impegno contro le mafie e per la legalità.
Bisogna poi pretendere il rispetto della legge, contro
ogni forma di corruzione, di frode, di inganno che incida sul bene pubblico. La
frode fiscale, per esempio, non è un reato qualsiasi, è un grave danno per lo
Stato e per ogni cittadino, per ragioni assolutamente evidenti.
Ma il nostro concetto di legalità è più vasto rispetto al
solo rispetto della legge; un buon cittadino deve badare anche alle regole non
scritte e non accompagnate da sanzioni, che sono imposte dal comune sentire.
Diffondere questa idea di legalità e praticarla è
fondamentale, per un’Associazione che si richiama ai valori della Resistenza
(direbbe Pavone, alla “ moralità “ della Resistenza). Questo richiama l’impegno
per attribuire maggior valenza, in tutti i nostri atti ed azioni, alla regola
morale, alla eticità nella politica e nella società civile. Anche questo, non
va solo “insegnato”, ma va praticato, con costanza, dando – ove occorra –
l’esempio di che cosa significa la cittadinanza attiva, a cui attribuiamo anche
un forte contenuto etico.
LA
DIFESA DEI DIRITTI
E’ compito dell’ANPI difendere tutti i diritti sanciti
dalla Costituzione e pretenderne l’effettività, cioè la concreta possibilità di
esercizio. Ma bisogna anche occuparsi dei cosiddetti “diritti umani”, quelli
cioè che appartengono direttamente alla persona e sono proclamati in documenti
importanti come la “Dichiarazione dei diritti dell’uomo” promossa dall’ONU nel
1948.
Su questo piano, la nostra azione è stata, fin qui, più
contenuta, quasi che la materia dei diritti umani ci fosse estranea. Non è
così. Bisogna essere più sensibili e più attivi su tante questioni che stanno
assumendo, in un’epoca così difficile e complicata, un rilievo sempre maggiore.
Ad esempio dobbiamo pronunciarci per tutti coloro che, fin
qui, sono stati considerati “diversi”; bisogna essere favorevoli e battersi per
il riconoscimento della cittadinanza a chi, con i genitori, è in Italia da
tempi rilevanti; dobbiamo essere con chi chiede l'abolizione del reato di
clandestinità; per l’introduzione del
reato di tortura, ci ritroviamo infatti da tempo ad assistere ad una
recrudescenza della violenza della polizia e dei carabinieri e ricordando
sempre che l’Italia è sotto accusa da parte della commissione europea per la
prevenzione della tortura; dobbiamo essere favorevoli alle unioni civili;
pronunciarci su alcune questioni di fondo (ambiente, bioetica, ecc.). Occorre
che l'ANPI continui e rafforzi la battaglia per il pieno riconoscimento del
diritto all'abitare considerando che negli ultimi anni, l'acuirsi della crisi,
ha aumentato sfratti per morosità incolpevole e pignoramenti. Troppo spesso le
famiglie sono costrette a scegliere se mangiare o pagare la rata dell'affitto o
del mutuo. A questo si aggiunge la speculazione, con l'aumento ingiustificato
dei prezzi d'affitto, la mancata rinegoziazione dei mutui e il mantenimento di
spazi inabitati, sia pubblici che privati, in stato di abbandono. L'ANPI
pertanto deve impegnarsi, così come riconosciuto dagli articoli 2 della
Costituzione Italiana e dell'articolo 25 della "Dichiarazione dei diritti
dell'uomo", in tutte le sue strutture ed insieme ai molti movimenti che si
battono per tale scopo, affinché il diritto all'abitare non sia solo
un'enunciazione astratta ma sia garantito a tutti i cittadini.
In particolare, crediamo che l’attenzione alla questione
ambientale costituisca elemento moderatore nei confronti del fenomeno
migratorio, nonché fondamento essenziale per una coscienza civica rispettosa
della storia e del benessere del nostro Paese. Per questo bisognerà attrezzarsi
anche culturalmente per impegnarci contro il nucleare, le devastazioni dei
territori e le speculazioni edilizie, le trivellazioni per le ricerche
petrolifere, le discariche e gli inceneritori, e per la ripubblicizzazione
dell’acqua. Ed emergono, su questi temi, valori che, a ben
guardare, sono considerati anche nella nostra Costituzione, che non a caso,
presenta una prima parte molto vicina a quella della “Dichiarazione universale”
di cui si è detto (non dimenticando che la nostra Costituzione è stata
pubblicata quasi dodici mesi prima dell’importante pronunciamento dell’ONU).
LA LIBERTÀ D’INFORMAZIONE
L’ANPI deve ritenersi impegnata a
difenderla ad ogni costo, come elemento essenziale della democrazia. Il
problema non riguarda tanto l’attuale sistema dell’informazione e della
comunicazione, su cui ci sarebbe da dire non poco, quanto e soprattutto il
principio: serve un’informazione corretta e completa; il cittadino non è
veramente libero e non è in grado di esercitare consapevolmente i suoi diritti.
Perciò, dobbiamo sostenere ogni voce che sia libera e indipendente, e
difenderne l’integrità e l’indipendenza, anche materialmente.
Per parte nostra, dobbiamo dare un contributo
essenziale per arricchire l’informazione, esponendoci con chiarezza e
franchezza su tutte le questioni che riguardano le nostre competenze; ed
organizzandoci perché la nostra voce – sicuramente libera ed autonoma – riesca
a farsi sentire. Dobbiamo inoltre essere comunque
sempre con chi legge, studia, critica i libri mai con chi li brucia.
LA
SCUOLA
E’ la matrice della formazione dei giovani, dei futuri
cittadini, della futura classe dirigente.
L’ANPI è necessariamente critica contro progetti e leggi
che puntino su una scuola elitaria, e finiscano per favorire, direttamente o
meno, la scuola privata (che pure ha
diritto di esistere, ma non a spese dello Stato), anziché cercare di fare di
ogni alunno un futuro cittadino “attivo”.
Con l’intesa sottoscritta nel luglio 2014 con il MIUR,
abbiamo fatto un passo avanti notevole per uscire dalla saltuarietà dei
rapporti con la scuola e per cercare di ottenere che l’insegnamento della
storia comprenda anche questo dopo guerra, che la Costituzione venga analiticamente
fatta conoscere ed apprezzare (amare), perché vengano esaltati i valori della
democrazia. Bisogno proporre alle scuole percorsi sullo
studio e la conoscenza della Costituzione, anche a partire dalla classe V della
scuola primaria, facendo riferimento alle competenze chiave europee affinché la
conoscenza dei diritti e dei doveri sia uno strumento per un futuro cittadini
consapevole e in grado di leggere in senso critico la realtà.
Consapevoli come siamo, che gli incontri periodici hanno spesso un’utilità
limitata, abbiamo cercato e dobbiamo cercare di rendere continuativi, in centro
e in periferia i rapporti con la scuola, attuando pienamente quel protocollo.
La consegna in occasione dell’inaugurazione dell’anno
scolastico, di una copia della Costituzione, con una introduzione sui valori
della Carta costituzionale, ha un alto valore simbolico, che deve però essere
concretizzato in azioni e rapporti continuativi. Siamo per una scuola che funzioni,
che non discrimini, che insegni a vivere, ad essere cittadini, dunque a
partecipare. Non andiamo nelle scuole solo per parlare di Resistenza. ma per
parlare di Costituzione e di rispetto dei valori. E’ un impegno grandissimo,
che riguarda davvero il futuro del Paese.
GIUSTIZIA
Un paese libero e democratico ha bisogno di una giustizia
efficiente e giusta. Ha bisogno di una Magistratura che lavori serenamente ed
abbia consapevolezza dell’importanza del suo ruolo; ha bisogno di governi che
non compiano atti capaci di minare le basi della fiducia che deve essere
riposta nella giustizia, che rispetti l’autonomia e l’indipendenza della
Magistratura, ma la doti degli strumenti necessari per esercitare correttamente
e tempestivamente le sue funzioni. E, naturalmente, c’è bisogno anche di
reprimere gli abusi, quando ci sono, ma nei modi previsti dalla Costituzione e
dalle leggi, rinforzando e non indebolendo gli organismi dell’autogoverno.
Da anni, si sta procedendo in una direzione opposta. Le
funzioni di garanzia vengono spesso attaccate e additate al pubblico ludibrio,
quando le loro decisioni non corrispondono ai desideri dei potenti e dei
governi. Questo è negativo e nuoce all’intera convivenza civile.
L’ANPI deve impegnarsi perché il Paese abbia una
giustizia efficiente e rapida, uguale per tutti, dotata degli
strumenti e mezzi necessari per evitare le attuali, insopportabili lungaggini;
deve dimostrare ed esigere il rispetto per la funzione, non esitando – quando
occorra – a criticare gli eccessi dei governi nel “trattare” con la Magistratura, così
come gli eccessi di quei Magistrati che non adempiono correttamente al loro
dovere.
Gli organi di garanzia (Magistratura, Corte
costituzionale, Presidente della Repubblica) devono avere e meritare il
rispetto dei cittadini; e va combattuta la tendenza a trascinarli nell’agone
politico oppure a procedere ad interventi idonei solo a creare una falsa
rappresentazione della realtà.
Altre tematiche ed iniziative
Ovviamente, l’ANPI deve portare avanti
il lavoro su alcune questioni di grande rilievo intraprese in questi anni ed
alcune in gestazione:
Le
stragi nazifasciste – continuare a cercare di ottenere verità e giustizia;
riparazioni da parte della Germania; assunzione di responsabilità da parte
dello Stato italiano per la vicenda dell’”armadio della vergogna”; portare a
compimento l’”Atlante delle stragi”, anche nella versione più aggiornata, che
comprende, oltre che le stragi di civili, anche quelle di partigiani uccisi non
in combattimento.
La pubblicazione e diffusione degli atti del Convegno
sulla “Partecipazione del Mezzogiorno alla liberazione d’Italia” –
(importante strumento politico di memoria, di conoscenza e di riflessione).
La diffusione nelle scuole del volumetto della
Costituzione con la introduzione del Presidente, sui “valori”.
La realizzazione in modo compiuto di tutti gli impegni
assunti nel protocollo con il MIUR.
Il seminario sui
“Confini orientali”, programmato per il 16 gennaio 2016.
L’incontro (assieme all’Istituto Cervi) sul tema del
neo-fascismo e, più in particolare, dei comportamenti dello Stato (incontro
programmato per dicembre 2015 o gennaio 2016).
Costituzione dei comitati nazionali e locali per il no alle
riforme costituzionali e per la cancellazione
della Legge elettorale.
Proseguire nella serie di incontri con i giovani, in
luoghi di particolare significato, continuando l’esperienza della Sardegna (La Maddalena e Caprera) di
Marzabotto e Ventotene.
Sviluppare ed estendere le
iniziative di formazione;
Proseguire,
sviluppare e rafforzare la presenza delle donne nell’ANPI ed insistere
sulla valorizzazione del ruolo delle donne nella Resistenza e nel periodo
successivo alla Librazione, assumendo pienamente nella politica dell’ANPI le
tematiche di parità, libertà e dignità.
Portare
a compimento i progetti multimediali; in fase di realizzazione
(rispettivamente: Promemoria: piattaforma multimediale educativa, sul web;
censimento e mappatura dei monumenti e
cippi commemorativi
Progettare
una grande iniziativa politica sulla rigenerazione della politica e sul
ruolo dei partiti.
PARTE TERZA
E’ attrezzata l’ANPI per svolgere questi compiti? Ed in ogni caso, come deve svolgerli?
Sulla prima domanda, la risposta è
pacifica. L’ANPI è una forte organizzazione, con oltre 120.000 iscritti, di
tutte le età e sesso, di varia provenienza e di varia cultura, ritrovandosi
tutti attorno ai valori tipici dell’Associazione. Le strutture territoriali
provinciali sono presenti in tutta l’Italia (n. 110) in totale, così come le
Sezioni (n. 3000). Benché non abbia certo mezzi rilevanti, e disponga di
strutture prevalentemente organizzate in
forma di volontariato, è riuscita, in questi anni ad imporsi per
l’autorevolezza e credibilità, sia tra i cittadini, sia nelle Istituzioni. Ha
tenuto numerosi Convegni e altre iniziative, ha fatto pubblicazioni, corsi di
formazione, dispone di un sistema di comunicazione complessivamente efficiente,
in corso di modernizzazione (il quindicinale “Patria on-line”). Può farcela,
dunque e soprattutto deve farcela se vuole affrontare con esito positivo la
sfida del futuro; che è già presente, perché ormai sono sempre meno i
partigiani attivi e i quadri intermedi sono composti prevalentemente da
generazioni più giovani rispetto al passato e, spesso, più giovani comunque.
D’altronde, se nel passato non sarebbe bastato restare nel recinto della
memoria, pur arricchendolo, oggi è certo che occorre molto di più, sia in
termini di memoria attiva (proprio perché vengono meno molte testimonianze) sia
in termini di impegni e di lotta sui temi già esaminati, che sono molti , complessi
e con ogni probabilità destinati ad ampliarsi.
Ciò che importa è assicurare la continuità,
nel senso che il futuro va affrontato tenendo ben ferme le nostre radici ed a
loro fare costante riferimento.
Ci sarà certamente qualche difficoltà,
nell’inserire in molti organismi direttivi persone di minore esperienza
rispetto al passato; ma queste difficoltà saranno agevolmente superate con
l’aiuto di tutti e soprattutto restando fedeli al nostro passato, alla
Resistenza da cui veniamo, alla Costituzione che amiamo.
Bisognerà rinforzare la formazione
continua, non solo dei giovani (come troppo spesso si dice) ma anche dei
dirigenti e tenere ferma la barra sulla nostra identità, la nostra autonomia,
le nostre ragioni di essere.
Sul “come”, il criterio da seguire è
evidente: l’ANPI deve essere, sempre e comunque se stessa, erede della
Resistenza, ma proiettata verso un futuro in cui c’è tanto bisogno di
rafforzare i valori su cui essa si fonda. L’ANPI non è una organizzazione come
tante altre: è una Associazione che si basa su tradizioni gloriose, ed è
impegnata a sostenere princìpi e valori indicati da coloro che combatterono per
la libertà, ma coltivati come una pianta in crescita, da tanti, che in questi
anni hanno lavorato per consolidare la tradizione senza farne un mito e per
puntare su un futuro da protagonisti.
L’ANPI non è un partito così come
non è un sindacato; non solo non lo
è ma non può esserlo, pena la sua snaturazione.
Il partito, infatti, è una cosa ben
diversa, anche nella previsione costituzionale; fa politica nel senso più ampio
e specifico della parola, partecipa alle elezioni, esprime la volontà dei
cittadini che lo seguono; sta nella competizione politica alla pari con altri,
o in competizione con essi; “concorre, con metodo democratico, a determinare la
politica nazionale” (art. 49 Costituzione).
L’ANPI è tutt’altra cosa, anche se
persegue fini (aristotelicamente) politici; non partecipa alle competizioni
elettorali; non organizza i cittadini a fini specifici; ha una sua tradizione
una sua identità, alcuni suoi fondamentali valori, che coincidono con quelli
della Resistenza e della Costituzione. Si impegna in battaglie non di tipo
elettorale, ma a sostegno dei diritti e dei valori costituzionali, guardando al
futuro, ma restando saldamente ancorata al suo passato. Ha metodi di lavoro, di
impegno, di lotta corrispondenti alla sua fisionomia ed alla sua identità. E
guai se non fosse così; se scendesse nell’agone politico-partitico, se usasse i
metodi tipici dei Partiti e perseguisse finalità che sono proprie dei medesimi,
perderebbe la sua natura, il suo stesso “essere”. Questo non significa,
ovviamente, che l’ANPI debba essere un’Associazione statica. Non fu statica la Resistenza e certamente
non può esserlo l’Associazione che da essa proviene e che ne rappresenta i
valori. Quindi, l’ANPI deve sempre agire, operare,
“combattere”, realizzando iniziative che trasformino in pratica di lotta le
enunciazioni di principio, sempre con le sue forme, i suoi metodi, le sue
tradizioni. Deve inoltre essere uno strumento efficace nel presente e saper
svolgere quel ruolo attivo e partecipe nel conflitto sociale che spetta ad
un’organizzazione di massa che si batte fattivamente per raggiungere i propri
fini statutari senza ambiguità e tentennamenti. Deve essere
capace di cogliere i cambiamenti della società, non per adeguarvisi
passivamente, ma per poter continuare, anche in forme diverse, ad essere “se
stessa”.
Abbiamo ripetutamente scritto che
l’ANPI non può avere “governi amici”; un iscritto ha risposto che, se è vero, è
anche vero che non può neppure avere “governi nemici”.
E infatti, non li ha, nel senso che non
ci soffermiamo su tutti gli aspetti della vita del Governo, ma solo su quelli
che incidono sulla Costituzione, sui rapporti col Parlamento, con i cittadini.
Se invece tacessimo di fronte a
comportamenti specifici che riteniamo non corrispondenti all’interesse
collettivo e al bene comune, allora si che cadremmo nell’opportunismo, che è un
difetto che proprio non appartiene al nostro DNA.
Si può aggiungere che la linea è
continuamente discussa negli organismi dirigenti nazionali, e verificata nel
concreto. Tant’è che nessuno può lamentarsi di un nostro singolo atto o di una
singola dichiarazione, se essa appartiene alla nostra identità e se essa rimane
all’interno della linea che abbiamo determinato nelle sedi competenti. Una
linea che deve essere approfondita anche negli organismi periferici con una
discussione franca e seria che parta dai fatti e non dai pregiudizi.
Si può anche dissentire da quella linea, ma motivatamente ed esplicitamente,
perché non c’è nessuno che sia disposto a colpevolizzare il dissenso. Ma
anch’esso, a sua volta, deve essere libero anche “internamente”, da pregiudizi.
Può far male sentir criticare questo o quell’atto del governo, guidato dal
partito cui si aderisce; ma non si pone un problema di alternatività o di
compatibilità di tessere. Ognuno può essere iscritto al partito che vuole
(purché non fascista) e contemporaneamente iscritto all’ANPI. Se nell’ambito
dell’ANPI emergono critiche a questo o a quel comportamento di quel partito (o
meglio, del Governo in cui è in maggioranza), l’iscritto potrà dissentire,
spiegare le sue ragioni, ma se non saranno accolte, dovrà accettarle (pur
conservando le sue idee personali) per senso di appartenenza all’ANPI. E non
avrà alcun motivo di restituire la tessera né di essere criticato per il suo
dissenso. Questo è il pluralismo vero. D’altronde, anche nei partiti, se
sono democratici, può accadere di
restare in minoranza o in dissenso senza che da questo nasca (se non in
casi particolarmente gravi) un problema di appartenenza e di compatibilità. Dovendo l'ANPI essere soggetto attivo non solo memoria
storica del paese si deve porre però anche un problema di coerenza con il
nostro statuto e con le nostre
convinzioni nel momento in cui professiamo a più riprese l'osservanza e
l'irrinunciabilità dei principi contenuti nella Costituzione del 48 possiamo
poi operare effettivamente affinché questi vengano stravolti o aboliti? In
questo caso non è questione di diversa visione politica ma di concezione stessa
dell'impianto democratico cosa per noi irrinunciabile sarebbe quindi quanto
meno auspicabile che chi intendesse prendere una strada diversa, che si
discosta anzi si contrappone al nostro stesso senso di esistere ne traesse
democraticamente le proprie conclusioni. E d'altronde anche nei partiti cosi
funziona un conto è la normale dialettica interna altro è la diversa concezione
dell'essenza stessa dell'esistenza del partito. Questo infatti spiega anche la
“necessità” del pluralismo dei partiti. Infatti ognuno si candida a
rappresentare specifici interessi di una parte della società. Altrimenti
avremmo il partito unico. Per noi non può essere diverso, ci siamo candidati a
rappresentare con chiunque voglia stare con noi i principi costituzionali e a
combattere per questi con tutti i mezzi democratici a disposizione pena la
nostra inutilità. Insomma, l’ANPI deve restare all’interno della
“coscienza critica” , garantendo al tempo stesso il pluralismo. Gli iscritti
hanno tutti il diritto di critica e quello di far valere (democraticamente)
le proprie opinioni, sapendo che si può
vincere o perdere, senza problemi e senza farne un dramma. Ancora una volta è
una questione di rispetto dei ruoli e di
rispetto della democrazia interna.
Resta poi anche il problema dei modi
e degli strumenti consoni a questa identità, che non sono – si badi bene
– quelli della pura tradizione e del radicato costume, ma si vanno aggiornando secondo i mutamenti
sociali, politici, economici che si vanno verificando, ma sempre badando bene a
restare un’ANPI riconoscibile e non confondibile con qualsiasi movimento; anche
il migliore. Non perché i movimenti siano da sottovalutare, ma solo perché
l’ANPI è, e deve essere, una cosa diversa, ancora una volta sé stessa.
Siamo, dunque, per i diritti, difendiamo la Costituzione ed i
suoi valori, ma con la dignità e la serietà di una Associazione che ha radici
ben salde e sa bene che se esse venissero meno, essa stessa ne sarebbe snaturata.
Insomma se – per fare un esempio - uno o più sindacati fanno uno sciopero, come
è loro diritto (e talvolta dovere), noi possiamo ben condividerne le
motivazioni e dobbiamo dirlo con chiarezza, fornendo il nostro appoggio morale;
ma non ci metteremo a scioperare anche noi, ne seguiremo tutte le iniziative e
le manifestazioni correlative, che restano di pertinenza dei sindacati e /o dei
partiti, dai quali dobbiamo sempre distinguerci.
E poi, rigorosa è e deve essere, la
nostra concezione (e l’effettiva pratica) dell’autonomia. L’ANPI deve collaborare con tutte le forze democratiche, i
comitati, i collettivi, i movimenti che ne condividono i fini e gli obiettivi
sempre senza rinunciare a ciò che riguarderebbe la sua autonomia, il suo
prestigio, la sua autorevolezza, fra l’altro conquistata proprio a forza di
essere liberi ed autonomi da tutti.
Non abbiamo pregiudiziali verso partiti
o governi, che giudichiamo solo in relazione a comportamenti ed azioni
specifiche e non sulla globalità, perché non è tanto il giudizio politico che
conta quanto l’esercizio di quella coscienza critica del Paese che ci
siamo assunti fin dal Congresso del 2011 ed alla quale non possiamo rinunciare
mai. Coscienza critica, peraltro, non significa fare i “grilli parlanti”, ma
significa esprimere giudizi ed assumere iniziative senza guardare in faccia
a nessuno, anche se siamo sempre per il rispetto sia delle istituzioni che
delle Associazioni, della società civile, dei cittadini.
Su tutto ciò che rientra nelle nostre
funzioni e nei nostri fini, dobbiamo – con franchezza – esprimerci ed agire.
L’ANPI non va dunque tirata per la giacchetta da nessuno: si deve sapere (e lo
devono sapere anche tutti gli iscritti e i militanti) che sarebbe inutile, se
non addirittura controproducente.
In questo periodo così complesso e
talora confuso, l’ANPI ha affrontato questioni di grande peso ( come le Riforme
costituzionali o la degenerazione della politica) ma lo ha fatto sulla base di
discussioni molto frequenti nel Comitato Nazionale, nel quale – in cinque anni
– si è votato sempre all’unanimità e con una sola eccezione in cui la decisione
è stata assunta a grande maggioranza. Se queste discussioni, che si svolgono a
livello nazionale, fossero ripetute e approfondite anche a livello periferico,
ci sarebbe certamente maggior chiarezza e maggior adesione alle iniziative e
alle battaglie dell’Associazione.
Insomma, per garantire
contemporaneamente identità e autonomia dell’ANPI e pluralismo, c’è solo il metodo del
confronto e della discussione in tutte le sedi, non tanto per rimettere in
discussione quanto deciso, ma per verificarne le modalità e i problemi di
applicazione nella realtà concreta.
Naturalmente, tutto questo presuppone che si realizzino due fattori
importanti. Il primo: un’effettiva partecipazione di tutti gli iscritti al
lavoro dell’Associazione, sulla base della piena conoscenza di tutti i
documenti, gli atti e le decisioni assunte; il secondo: un concreto e puntuale
rispetto delle regole.
Perché ci si possa confrontare e si
possa partecipare, bisogna garantire una diffusione effettiva di ogni atto fino
all’ultimo iscritto e, possibilmente, anche fuori dall’ambito associativo; e il
rispetto delle regole è una questione di coerenza e di funzionalità, non di
disciplina gerarchica.
Su questo secondo aspetto, esistono
ancora alcune incertezze e alcune tendenze a fare ognuno (Sezione o Comitato
provinciale o addirittura iscritto) quello che vuole. Non può essere così.
Abbiamo uno Statuto e un Regolamento, che vanno rispettati, altrimenti non c’è
più un’Associazione, ma un insieme di soggetti riuniti per caso. Questo è un
punto che merita di essere sottolineato: l’ANPI dispone di strumenti di
garanzia (Commissioni di tipo istruttorio a vari livelli); sarebbe preferibile
non dover mai ricorrere a questi organismi ed è sempre preferibile cercare una
soluzione politica o un chiarimento; ma non è neppure concepibile una sorta di
anarchia né tollerabile e consentito che iscritti od
addirittura dirigenti dell’associazione possano operare fattivamente allo
stravolgimento o alla cancellazione dei principi e valori contenuti nella
Costituzione del ’48 in palese violazione degli scopi associativi.
Il rispetto delle regole è una
questione di rilevanza politica e come tale va considerata, proprio per poter
conservare autorevolezza e dignità dell’Associazione e svolgere i numerosi
compiti che essa si è assegnata. A questo fine, nel bagaglio informativo dei
nuovi dirigenti dovranno essere compresi, non solo lo Statuto e il Regolamento,
ma anche gli atti congressuali (in particolare il documento politico che uscirà
dal Congresso), nonché tutti i comunicati, le direttive, le prese di posizione
e le iniziative degli organismi nazionali.
Nella fase di ricambio generazionale
occorre adottare alcuni accorgimenti ed alcune iniziative proprio per meglio
rendere applicabili le regole e i principi di cui sopra . Anzitutto, bisogna
definire bene – ed una volta per tutte – la questione dei GIOVANI e
l’approccio dell’Associazione nei loro confronti, considerando che siamo di
fronte a radicali modifiche di abitudini, di modi di pensare, di stili di vita,
in parte determinati anche dalla rivoluzione tecnologica e sapendo che questo
rende più difficile e complesso il lavoro di formazione e l’approccio a
questioni di grande rilievo come l’antifascismo.
Bisogna partire dalla condizione
dei giovani, dalla eredità che gli stiamo lasciando, dalle responsabilità delle
nostre generazioni per il futuro che gli abbiamo negato, gli stiamo negando o
rendendo difficile. Inutile e sbagliato soffermarsi, come molti fanno, sui loro presunti difetti e sui certi
limiti che vengono loro attribuiti. E’
stata questa società ad essere incapace di dare certezze, sicurezza,
prospettive ai giovani; a tutelare chi aveva già una collocazione, un posto di
lavoro, una forma previdenziale, piuttosto che quelli che erano “esclusi” e
soprattutto erano privi di sicurezze. Se non si parte da qui, se non si cerca
una strada, un modo, per riequilibrare una situazione scomposta ed assolvere ad
un grave debito che tutti noi abbiamo contratto nei confronti delle nuove
generazioni, sarà sempre difficile capirli e soprattutto avere chiarezza su ciò
che occorre fare. Troppi stanno emettendo giudizi negativi sui giovani (e già
la generalizzazione è sbagliata), forse per nascondere - anche a se stessi -le
proprie responsabilità. Occorre invece guardare ai giovani senza pregiudizi e
senza supponenza. Oltre tutto, considerando che sono proprio i giovani, che
assai spesso ci danno severe lezioni di solidarietà e di impegno; col loro
volontariato, anche in situazioni estreme e di fronte all’impotenza dello
Stato.
Dando per scontate e pacifiche le
differenze di mentalità, di preparazione, di modi di comunicazione e talora di
comportamenti, bisogna avere chiarezza sul modo di considerare i giovani, non
come qualcosa di estraneo, quasi da esorcizzare o temere, ma come coloro che
gradualmente sono destinati ad assumere il controllo dell’Associazione, le
cariche dirigenti, i posti di responsabilità. Deve essere allontanata ogni tentazione
di giovanilismo, che non serve, per rafforzare invece un rapporto con i giovani
per quello che sono cioè un universo che magari non sempre comprendiamo, ma è
l’universo di oggi e del futuro; con le loro manchevolezze, ma anche con la
loro capacità di intuizione, soprattutto se sanno utilizzare correttamente l’enorme mole di materiale che la stessa rete
(oltre alla carta stampata) ci fornisce.
Una giovane iscritta, ha di recente,
scritto al Presidente che “occorre il
rispetto reciproco e il rispetto delle regole, perché dove si riesce ad aprire
un confronto vero ne consegue un avvicinamento reciproco ed una migliore
comprensione del presente”. Ha ragione ed è il caso di riportare anche
alcune frasi significative e importanti del Presidente della Repubblica
Mattarella che in un messaggio ad un Convegno ha scritto:
“Dobbiamo
scommettere sui giovani, avere fiducia nella loro maturazione umana e sociale,
dobbiamo investire nell’educazione, aiutare chi è in difficoltà, non con il
tono paternalistico di chi possiede certezze immutabili, ma con la passione di
chi vuole cercare i valori presenti negli altri. Per fortuna, nel nostro Paese
ci sono tante esperienze vitali, ci sono tanti volontari, ci sono tante
appassionate risorse morali, intellettuali, professionali che già operano per
il bene comune e che costituiscono una rete insostituibile per la coesione
sociale e per la qualità della vita di ciascuno di noi”.
Si sono riportate due indicazioni, di
una giovane e del Presidente della Repubblica, che ci aiutano meglio a capire
che occorre “umiltà” nell’approccio (senza falsi giovanilismi), ma al tempo
stesso continuità, comprensione ed autorevolezza, non imposta, ma da tempo, nei
fatti, acquisita. Il che significa, ancora una volta: niente arroganza da nessuna
parte , ma confronto reale, sincero, ricerca di comprendersi a vicenda e
lavorare per il meglio.
Ed è giusto anche il richiamo alle
“regole”, perché deve essere chiaro a tutti, giovani e non giovani, che da esse
non è esonerato nessuno, né per ragioni di età, né per ragioni di
posizioni professionali o culturali. Insomma fra generazioni diverse bisogna
creare un rispetto vero, leale e sincero, a sostegno del lavoro comune,
sulla base dei valori condivisi.
Del resto, non stiamo entrando in una
zona oscura e nuova: è ormai da anni che l’esperienza ci consegna un quadro di
giovani, a confronto non tanto con gli anziani, quanto con generazioni diverse,
intermedie, che oggi rappresentano la maggior parte dell’ANPI. Dobbiamo
procedere sulla strada della continuità, consapevoli di non aver sperimentato
fino in fondo ciò che davvero occorre fare e di essere tenuti ad impegnarsi al
massimo, perché il ricambio
generazionale non si realizzi solo perché gran parte dei più anziani è
destinata ad allontanarsi dalla vita attiva, ma
perché questi mutamenti e passaggi sono necessari per l’aggiornamento e
la vitalità di un’Associazione, per essere in grado di stare al passo con i
tempi.
In questo senso si può ben dire che
l’ANPI deve compiere un salto di qualità nella sua politica giovanile,
cercando di inserire i giovani stabilmente nella propria organizzazione, di
comprendere i loro problemi specifici e farsene portatrice, anche in termini
propositivi, in una società che riconosca finalmente che i giovani sono la più
grande risorsa e il più importante investimento di un Paese.
Per riassumere conclusivamente quanto
si è fin qui rilevato, e non solo a proposito dei giovani, bisogna dire che, su
tutti deve aleggiare la consapevolezza che non siamo proprio del tutto pronti
ad affrontare i numerosi impegni che abbiamo elencato. In parte, occorrerà più
esperienza concreta; ma ci vorrà anche molta formazione, per tutti, perché
nessuno nasce “imparato”, secondo un vecchio detto e non sono solo i giovani a dover arricchire la loro conoscenza.
Nessuno ha la verità in tasca; bisogna
sperimentare e scoprire ad ogni passaggio, tutti insieme, quale è la strada,
quale è la scelta migliore, non per restare fermi ma per crescere.
Un problema altamente e profondamente
politico è quello del TESSERAMENTO, talvolta considerato come un atto
formale, che si esaurisce nella consegna di una tessera a fronte del suo costo.
Il tesseramento è, invece, un momento di grande importanza, da un lato perché
ci procura le uniche risorse sicure di cui l’Associazione dispone, e dall’altro
perché ogni adesione ci rafforza e ci sostiene. Ma deve essere una adesione, un
atto consapevole, che vada al di là della simpatia e della stima e si avvicini
a quel “senso di appartenenza” che è fondamentale per una Associazione
come la nostra. Trascurando questo dato, si ottiene un risultato negativo sotto
più profili: l’iscritto non diventa, se non sollecitato e “coltivato” un
partecipe militante; e talora dimentica, l’anno successivo, di rinnovare
l’iscrizione, se nessuno ha cercato di coinvolgerlo in qualche modo,
invitandolo, facendogli pervenire i nostri atti, coinvolgendolo nei dibattiti e
nelle iniziative, secondo le capacità e le responsabilità di ciascuno.
Si è scoperto, a seguito di qualche
lieve flessione di iscrizioni, in questa o quella località, che non sempre le
ragioni sono di natura ideologica (non condivisione della linea, etc.), anzi
ben spesso dipendono da fattori apparentemente trascurabili, quali il venir
meno del raccoglitore delle iscrizioni, il mancato contatto dopo la domanda di
iscrizione, ridotta ad un atto burocratico, una relativa sottovalutazione dl
problema: tutte cose che è ben possibile (e doveroso) eliminare con un po’ di
buona volontà, sol che ci si creda e ci si attivi veramente, comprendendo che
questa è la vita dell’Associazione, che non può e non deve avere altre
risorse (oltre quelle pubbliche sempre più carenti).
A proposito di risorse, è anche
opportuno capire che tutto ciò che facciamo e faremo implica costi e risorse
(il volontariato puro è sempre più difficile). Bisogna dunque considerare come
un atto politico la destinazione del 5x1000 all’ANPI, finora non corrispondente
alle reali possibilità dei nostri numerosi iscritti.
Se almeno la metà provvedesse in tal
senso, la nostra situazione economica farebbe già registrare un netto
miglioramento. Ma si può, si deve, fare di più.
Bisogna sforzare l’inventiva, ricorrere
ai tanti mezzi, onesti, seri e trasparenti per raccogliere fondi. Uno di
questi, anche se non direttamente collegato all’Associazione, è quello di far
vivere, nelle Regioni in cui esistono, leggi che favoriscano ed aiutino la
memoria, la diffusione della conoscenza della storia della Resistenza e della
Costituzione. Ce ne sono di queste leggi, spesso non finanziate. Bisogna
ottenere che i finanziamenti ci siano perché questo ci consentirebbe di
costruire, magari non da soli, iniziative importanti, i cui oneri sarebbe
impossibile sostenere. Sarebbe anche giusto, là dove queste leggi regionali non
esistono, darsi da fare perché vengano approvate e finanziate. Questo
aiuterebbe molto, in tutta Italia, il lavoro che spesso dobbiamo fare da soli
per la memoria attiva, la conoscenza dei luoghi della Resistenza e
dell’antifascismo, e così via. Da ultimo, va affrontato un quesito davvero
fondamentale. Abbiamo tratteggiato una linea e definito impegni e
battaglie. Ma da soli o con chi ?
L’ANPI è, ovviamente, contraria ad ogni
forma di isolamento. Dobbiamo sempre operare, specialmente in tema di memoria,
d’intesa con le altre Associazioni partigiane, di combattenti per la libertà, e
di antifascisti.
Ma, negli anni, ed
anche più di recente, non abbiamo trascurato di realizzare rapporti
continuativi anche con le Istituzioni e Associazioni. Ne fanno fede il “
Protocollo d’intesa sottoscritto col MIUR, il 24 luglio 2014, per promuovere
insieme la conoscenza storica e preparare le condizioni favorevoli alla
formazione di una “cittadinanza attiva”. Abbiamo poi sottoscritto una
convenzione con l’INSMLI, con la stessa finalità, ovviamente più proiettata sul
terreno storico, formativo e documentale. Ma abbiamo anche stipulato, di
recente, un’intesa con l’AUSER in cui si condividono molti dei progetti e delle
azioni che intendiamo svolgere, soprattutto sui temi della democrazia, e dell’uguaglianza
sociale. Abbiamo stretti rapporti con l’ARCI, con cui confidiamo di stilare un
analogo protocollo d’intesa. Manteniamo rapporti fecondi con la CGIL, che ha nel suo seno
anche una sezione dell’ANPI e con la quale conduciamo molte battaglie. E siamo
sempre pronti a collaborare, mantenendo la nostra autonomia e la nostra
identità con Associazioni come “Salviamo la Costituzione”, il
“Comitato per la democrazia costituzionale” ed altri.
Bisogna continuare su
questa strada, perché c’è bisogno di unire le forze per raggiungere, informare
e – se occorre - convincere i cittadini,
che spesso sono distratti, indifferenti, disinformati.
E poi, quando il gioco
si fa più duro, maggiori e più unite sono le forze in campo e più risultati si
possono ottenere. Pertanto è necessario e fondamentale che si
stabiliscano relazioni e collaborazioni con tutte le organizzazione politiche,
sindacali e sociali, i movimenti, i collettivi ed i comitati che condividono le
battaglie e gli impegni trattati nel presente documento, a partire in primis
dal vasto movimento antifascista, affinché si possa concorrere sempre alla
piena attuazione, nelle leggi e nel costume, della Costituzione Italiana in
assoluta fedeltà allo spirito che ne ha dettato gli articoli e di dare aiuto e
appoggio a tutti coloro che si battono per quei valori di libertà e di
democrazia che sono stati fondamento della guerra partigiana.
Bisogna,
infine, fare attenzione anche alle “cattive compagnie”, cioè a coloro che
vogliono utilizzare e strumentalizzare, per fini elettorali o di prestigio, il
buon nome dell’ANPI adottando in seguito politiche od azioni in contrasto con i
principi ispiratori dell’associazione stessa. Un po’ di cautela e di attenzione
saranno sempre utili per discernere, come si diceva un tempo, “il grano dal
loglio”.
PARTE QUARTA
STRUTTURE
ORGANIZZATIVE
Restano valide molte delle indicazioni contenute nel documento Congressuale del 2011. In rapido dettaglio comunque, val la pena di compiere qualche approfondimento:
Restano valide molte delle indicazioni contenute nel documento Congressuale del 2011. In rapido dettaglio comunque, val la pena di compiere qualche approfondimento:
Comitato
Nazionale
Ferma restando la contrarietà ad organismi pletorici, si è tuttavia seguita l’indicazione contenuta nel Documento politico del congresso di Torino, che riteneva necessario un aumento del numero dei componenti, avvalendosi del disposto del quarto comma dell’art. 5 dello Statuto che consente di procedere a cooptazione – oltre che nei casi di decesso, o impedimento assoluto – quando si renda necessaria per la funzionalità dell’Associazione. Al termine del Congresso di Torino, fu così deciso di portare a 37 il numero dei componenti. La misura è risultata efficace in tutta la prima fase. Poi si è provveduto ad alcune cooptazioni, in seguito al decesso di alcuni componenti del C.N. Ma la misura non è bastata, perché in realtà si è verificato il fatto che un gruppo dio componenti, per ragioni di salute, è venuto a trovarsi in situazioni di frequente impedimento a partecipare alle sedute. Nel Comitato Nazionale, si è deciso di non procedere, in questo caso, a cooptazioni “ex jure” ma di mantenere questi componenti, per particolare riguardo, nel Comitato Nazionale, provvedendo però ad integrare quest’ultimo con altre (limitate) unità, per fini di funzionalità. Di fatto, oggi il C.N. è composto di 36 membri e tale è forse opportuno che resti, essendosi realizzata, in tutte le sedute, un’ampia e positiva discussione, con sufficiente rappresentatività del pluralismo ed anche delle realtà territoriali. Sarà opportuno rafforzare ancora il livello culturale complessivo, mediante adeguate scelte di componenti in grado di assicurare un effettivo, costante e qualificato contributo.
Ferma restando la contrarietà ad organismi pletorici, si è tuttavia seguita l’indicazione contenuta nel Documento politico del congresso di Torino, che riteneva necessario un aumento del numero dei componenti, avvalendosi del disposto del quarto comma dell’art. 5 dello Statuto che consente di procedere a cooptazione – oltre che nei casi di decesso, o impedimento assoluto – quando si renda necessaria per la funzionalità dell’Associazione. Al termine del Congresso di Torino, fu così deciso di portare a 37 il numero dei componenti. La misura è risultata efficace in tutta la prima fase. Poi si è provveduto ad alcune cooptazioni, in seguito al decesso di alcuni componenti del C.N. Ma la misura non è bastata, perché in realtà si è verificato il fatto che un gruppo dio componenti, per ragioni di salute, è venuto a trovarsi in situazioni di frequente impedimento a partecipare alle sedute. Nel Comitato Nazionale, si è deciso di non procedere, in questo caso, a cooptazioni “ex jure” ma di mantenere questi componenti, per particolare riguardo, nel Comitato Nazionale, provvedendo però ad integrare quest’ultimo con altre (limitate) unità, per fini di funzionalità. Di fatto, oggi il C.N. è composto di 36 membri e tale è forse opportuno che resti, essendosi realizzata, in tutte le sedute, un’ampia e positiva discussione, con sufficiente rappresentatività del pluralismo ed anche delle realtà territoriali. Sarà opportuno rafforzare ancora il livello culturale complessivo, mediante adeguate scelte di componenti in grado di assicurare un effettivo, costante e qualificato contributo.
Consiglio Nazionale Si è
provveduto alla riduzione del numero dei componenti, che adesso appare equo. Le
riunioni annuali si sono svolte regolarmente e con piena soddisfazione perché
ogni volta la discussione è stata ampia, ricca di spunti e di indicazioni ,
anche di prospettiva.
Per il 2015, si è
ritenuto di soprassedere essendo in preparazione il Congresso con relativa
prevedibile spesa. Peraltro, sono state assai frequenti le riunioni periodiche
(almeno ogni tre mesi) del C.N. e sempre sono stati formulati inviti a non
componenti.
Coordinamenti
regionali Sono stati istituiti
pressoché ovunque, svolgendo il ruolo previsto dall’art. 9 dello Statuto, con
le integrazioni emerse dal Congresso di Torino (e in particolare con quella dell’O.d.G. approvato
dall’Assemblea congressuale, nella seduta conclusiva). Ha prevalso, ovunque, la
figura di un Coordinatore regionale, accompagnato – se del caso – dal Comitato
previso dall’art. 9 dello Statuto. In definitiva, questi coordinamenti
regionali sono risultati di grande utilità, senza collocarsi al livello di un
organismo statutario intermedio tra “nazionale” e provinciali. Laddove si è
tentato di battere altre strade, eleggendo un Comitato con un vero e proprio
congresso, la cosa ha funzionato ben poco ed, anzi, si sono spesso creati
problemi. Allo stato attuale e considerando che oltre ai coordinatori regionali
e in loro contatto diretto, operano tre Responsabili di Area (Nord, Centro, Sud
ed Isole), che a loro volta svolgono
funzioni di coordinamento e di incentivazione, nonché di aiuto per la soluzione
di questioni, o di controversie non risolvibili al normale livello, si ritiene
non necessaria una modifica della strutture, così come previste da Statuto e Regolamento.
L’attribuzione di maggiori poteri agli organismi regionali, in altre situazioni
(ad esempio, nei sindacati) ha prodotto sempre risultati negativi. Non è il
caso di correre questo rischio, in un momento in cui bisogna rinforzare il
nostro potenziale, ma senza creare problemi nuovi e possibili attrito in questa
o quella sede. Il perno fondamentale su cui si regge l’Associazione, appare
ancora quello dei Comitati provinciali. Occorre, peraltro, affrontare alcuni
problemi pratici circa la stessa possibilità di operare dei Coordinatori
regionali, ed incrementare i loro rapporti, da un lato con gli organismi
dirigenti nazionali e dall’altro, in ogni sede, con i Comitati provinciali, con
i quali la collaborazione deve essere continua, fattiva e reciprocamente leale.
Strutture interne organizzative
Quanto alle strutture interne di vari organismi “periferici”, si conferma l’esigenza che, a
tutti i livelli, vi sia un Presidente, un Responsabile dell’organizzazione e un “Tesoriere”
(o meglio, un Responsabile dell’amministrazione”).
Quanto alle strutture interne di vari organismi “periferici”, si conferma l’esigenza che, a
tutti i livelli, vi sia un Presidente, un Responsabile dell’organizzazione e un “Tesoriere”
(o meglio, un Responsabile dell’amministrazione”).
A livello
nazionale, l’esperienza di una Segreteria anche “politica” composta da membri
del Comitato Nazionale, è risultata positiva, forse più dell’esperienza
compiuta in varie sedi circa la costituzione, invece, di una “presidenza” più o
meno allargata. Ma non si tratta di esperienze valide in assoluto, e dunque
appare utile, ancora una volta, lasciare una relativa libertà di scelta fra
queste ipotesi, tenendo fermo però quel minimum
più sopra indicato e ribadendo che in ogni caso Segreteria o Presidenze
elefantiache non giovano, anzi ostacolano un buon funzionamento degli organi.
Per cui, Presidenza o Segreteria, dovrebbe sempre trattarsi di organismi
relativamente ristretti (5-7 componenti, di massima).
Coordinamento
nazionale delle donne dell’ANPI Il Coordinamento ha fornito un’esperienza
molto positiva, con varie iniziative di rilievo, tutte concordate con la Segreteria nazionale ed
una, di particolare importanza (è risultata vincitrice – piazzandosi al primo
posto - nel Concorso bandito dalla Presidenza del Consiglio per il 70°), in
corso di attuazione, sia per quanto riguarda le ricerche storiche, sia per ciò
che attiene al Convegno che si svolgerà a Torino il 14 novembre 2015, sui
“Gruppi di difesa delle donne”. Vi sono tutte le ragioni, dunque, pe confermare
questa articolazione, così come previsto dal secondo comma dell’art. 8 del
Regolamento, semmai prevedendo un’intensificazione del lavoro del
Coordinamento, con un più ampio coinvolgimento delle donne dell’ANPI e in particolare
delle giovani e con una maggior attenzione, oltre alla memoria, allo sviluppo
dell’emancipazione femminile, dalla Resistenza in poi ed alla condizione
femminile nell’epoca attuale a partire dalla difesa e dall’applicazione della legge 194
per la tutela della maternità consapevole, e più in generale dei diritti
conquistati in seguito a dure lotte. Occorrerà anche incrementare l’attenzione degli uomini nei
confronti di questi problemi e dello stesso Coordinamento, eliminando antichi
pregiudizi, a cominciare da quello che induce a ritenere che i problemi delle
donne riguardano solo loro e non l’intera collettività. L’ANPI dovrà fare un
passo avanti, su questo terreno, proprio in occasione del ricambio
generazionale, del quale bisognerà approfittare per realizzare, anche nelle
cariche dell’Associazione, quella parità effettiva che costituisce l’obiettivo
di fondo dell’art. 3 della Costituzione.
LA COMUNICAZIONE Inutile
ribadire che la comunicazione è un elemento essenziale, per la vita e
l’attività dell’Associazione. Essa, dunque, deve raggiungere, in ogni sede, il
più alto livello possibile, scegliendo – nella gamma delle soluzioni possibili
– quella più moderna ed efficace, senza abbandonare però la possibilità di
usufruire di una forma di informazione anche per coloro che non hanno
familiarità con gli strumenti più moderni e innovativi. L’ANPI dispone
attualmente: a) della Newsletter
settimanale (riservata a informazioni sulle iniziative di maggior rilievo a
livello nazionale ed alle “note” del Presidente; b) dal 15 settembre, di
“Patria on-line”, quindicinale (in via sperimentale) che oltre alle
pubblicazioni on-line, prevede due fascicoli all’anno, in cartaceo, di puro
“approfondimento” di temi specifici; c) del “sito web”, di recente aggiornato e
frequentato in modo significativo; d) di una pagina su Facebook, anche questa
piuttosto frequentata. Sulla Newsletter e su altri strumenti di “informazione e
orientamento”, dotati di una certa immediatezza e continuità (tanto da aver
ottenuto, nel tempo, un crescente successo), si ritiene giusto che il
Congresso, se crede, esprima il suo parere, ma lasciando le scelte ai nuovi
organismi e in particolare al nuovo Presidente. Per “Patria on-line” si sta
facendo di tutto per sperimentarlo al
meglio; ma occorrono giudizi consolidati e c’è tempo fino al Congresso per
decidere se l’esperimento merita di essere proseguito (non più come
esperimento, ma in forma continuativa) ed eventualmente con quali correzioni e
integrazioni. Lo strumento è di tale importanza (essendo, al tempo stesso,
organo di informazione, di comunicazione e di stimolo alla riflessione), da
rendere necessario mantenerlo come tale
o reperire una soluzione diversa, ma con le stesse caratteristiche di
fondo. In ogni caso si ribadisce che esso è essenziale per la vita stessa
dell’Associazione nel suo complesso. Sugli altri strumenti, ormai consolidati e
in fase di sviluppo si può dire soltanto che sono insostituibili e, semmai,
vanno incrementati e rinforzati, naturalmente nei limiti delle possibilità
materiali (tecniche, economiche e umane) di cui l’ANPI dispone. Principio
fondamentale deve essere quello dell’assoluta trasparenza e della maggior
ampiezza e diffusione di informazioni. Il risultato da perseguire è che ogni iscritto, ogni amico dell’ANPI
riceva comunicazioni e informazioni sufficienti anche a contrastare le ben note
difficoltà e situazioni critiche (e criticabili) in cui versa l’attuale sistema
informativo nazionale, pubblico e privato.
LA FORMAZIONE Si
ribadisce che si tratta di uno dei momenti fondamentali della vita di una
Associazione come l’ANPI. Si è fatto, finora, il possibile, ma bisogna fare di
più. La formazione va fatta dovunque, con i mezzi di cui di dispone e col
materiale nazionale già da tempo disponibile. Essa deve riguardare anche la
storia, l’organizzazione e la vita dell’Associazione è necessario che almeno
ogni dirigente, ad ogni livello, ne abbia piena conoscenza . La formazione
(così come la comunicazione) si avvarrà , nel tempo, anche dei progressi che si
stanno facendo nel campo dell’ANAGRAFE DEGLI ISCRITTI, sulla quale prima del
Congresso possono essere forniti i seguenti dati: inserito sino ad oggi, 26
Comitati provinciali, per un totale di circa 25.000 iscritti; in fase di
inserimento (entro fine anno) 12 Comitati provinciali, per un totale di circa
14.000 iscritti; con previsione di ulteriori inserimenti fino alla data del
Congresso. Siamo dunque a buon punto, sebbene l’obiettivo di disporre di
un’anagrafe completa, in occasione del Congresso, non sarà raggiunto, anche
perché, in alcune sedi c’è stata una certa sottovalutazione dell’importanza di
questo strumento. Ma sono stati fatti passi in avanti decisivi, e
bisogna completare tutto al più presto. Per la semplice ragione che l’anagrafe
non è solo una raccolta di dati, ma è uno strumento politico di
conoscenza e di orientamento per tutti i livelli, dal Nazionale fino all’ultima
Sezione.
STATUTO E REGOLAMENTO Tutte le
modifiche che si potevano ( o dovevano ) apportare allo Statuto sono state
fatte. Non sarebbe né opportuno né utile procedere ad ulteriori modifiche,
proprio in una fase di cambiamento generazionale, che susciterà evidentemente
non poco interesse e molta attenzione su ciò che l’ANPI sta facendo, con le
radici nel passato e le proiezione verso il futuro Una sola modifica è stata
effettuata nell’ultimo quinquennio, per adeguare alcune norme dello Statuto
alle leggi vigenti. Essa è già stata approvata, con la presenza di un Notaio,
dal Comitato Nazionale, ma dagli organi ministeriali è stata ritenuta necessaria
anche una ratifica da parte del Congresso, che ovviamente vi dovrà provvedere.
Quanto al Regolamento, ben poche sono le segnalazioni finora pervenute
per eventuali modifiche.
Sembra opportuno
che il primo Comitato Nazionale successivo al Congresso ricostituisca la Commissione per il
Regolamento, attribuendole carattere permanente, in vista di periodiche
verifiche e affidandole l’incarico di esaminare subito sia le proposte
pervenute prima del Congresso, sia quelle avanzate nel Congresso ed altre
dettate dalla concreta esperienza, per poi formulare una proposta complessiva
ed organica all’organismo competente.
GIORNATE
NAZIONALI Restano fondamentali: il
27 Gennaio (Giornata della memoria), il 25 aprile (Festa della Liberazione), il
9 maggio (Giorno dedicato alle vittime del Terrorismo e delle Stragi), il 2
giugno (ormai consolidato come Festa della Repubblica e della Costituzione), il
10 febbraio (Giornata del Ricordo, ma di tutto il ricordo storico e non
solo di una parte di esso, come molti vorrebbero). A proposito del 25 aprile,
va ricordato che esso non può essere inferiore a quello dello scorso anno, dato
che il 2016 è il 70° anniversario della Repubblica ed anche l’anniversario del
primo voto delle donne. Eventi che comunque dovranno anche essere oggetto di
specifiche iniziative nel corso dell’anno.
FESTA NAZIONALE Certamente la
festa nazionale è un importante momento di incontro, di memoria, di riflessione
e di dibattito, utile sia per l’Associazione come tale, sia per la sua
proiezione verso l’esterno. Peraltro, si tratta di una esperienza da rimeditare
in modo approfondito, sia in relazione ai costi crescenti anche per la
diminuzione effettiva di una parte del volontariato storico, sia in relazione
alle tante possibilità di realizzare in modo diverso e vario degli incontri di
cui buona parte da dedicare ai giovani secondo le positive esperienze della
Maddalena, di Ventotene, etc. Va compiuta, sotto questo profilo,
un’approfondita valutazione di carattere economico-politico, che consideri - da un lato
– la crescita
degli impegni e dall’altro la relativa riduzione delle entrate.
ARTICOLAZIONI
DELLE STRUTTURE E’ auspicabile che si intensifichino forme di articolazione
delle strutture in apposite sedi, anche per avvicinare di più l’ANPI alle realtà
sociali di maggior rilievo: costruire, ad esempio, Sezioni universitarie
e Sezioni di “lavoro” (oltre quelle già esistenti alla CGIL e in alcune Camere
del Lavoro) e così via; naturalmente, restando sempre nell'ambito attualmente
previsto in termini generali e senza procedere ad inutili “invenzioni”.
LE STRUTTURE
MATERIALI I compiti dell’ANPI sono enormemente cresciuti e così anche
l’impegno, il numero e l’entità delle iniziative nazionali, assolutamente
necessarie se il “Nazionale” non vuole essere (e non deve esserlo) una
struttura statica. Ma l’apparato continua
ad essere poco diverso da quello di un tempo, sia quello politico, sia
quello amministrativo. Anche in questo caso non basterà un certo ricambio generazionale,
ma necessiterà procedere ad un irrobustimento concreto ed effettivo del
“sistema” attualmente raccolto in via degli Scipioni. Questo è un punto politico
e non meramente organizzativo; ci sono risvolti economici seri e ci sono,
altrettanto seri risvolti politici. Non è certo in sede Congressuale che si
potranno adottare specifiche misure. ma una posizione ferma del Congresso,
anche su questo punto, aiuterà i futuri organismi dirigenti ad individuare le
soluzioni più opportune per far fronte adeguatamente agli impegni crescenti,
pur nella compatibilità con i nostri bilanci.
PRESIDENZA
ONORARIA Visto l’esito negativo
dell’esperimento che il precedente Congresso aveva ipotizzato (istituzione di
un Comitato d’onore) davanti alla constatazione che ci si sarebbe
inesorabilmente trovati di fronte o una duplicazione della Presidenza
onoraria oppure ad una duplicazione di compiti riservati agli organismi
dirigenti nazionali, appare opportuno soprassedere e restare fermi sulla Presidenza
onoraria così come concepita dall’art. 7, lettera A), dello Statuto,
attribuendole in concreto il compito di valorizzare il contributo di quanti
hanno combattuto e lavorato per la libertà e di coloro che si sono interamente
dedicati a garantire l’efficace funzionalità dell’Associazione.
LA TESSERA AD
HONOREM Statuto e Regolamento dettano regole precise, che, peraltro –
in molte sedi - non vengono rispettate. Se obbedissimo davvero a quanto
previsto, la tessera ad honorem,
oggi, dovrebbe essere una rarità assoluta. C’è da ritenere che non ci sia nulla
da modificare, ma solo da rispettare le regole che ci siamo dati.
D’altronde, se si vogliono dare
attestati di amicizia, ci sono altri strumenti a disposizione, meno impegnativi
sul piano morale. Ad esempio, l’art 2, comma 2, lettera B), del Regolamento
prevede l’attribuzione della tessere “amico dell’ANPI” a chi abbia
significativamente collaborato con le Sezioni, o con i Comitati
provinciali. Questo strumento può essere utilizzato in molte occasioni, senza
snaturare il senso e la funzione della tessera ad honorem, come stabilito dall’art. 22 dello Statuto. Esistono,
del resto, molti altri modi per dimostrare riconoscenza e stima a persone
particolarmente qualificate.
CONCLUSIONE
Un’importante sentenza del Tribunale
Militare di Verona, nell’ammettere l’ANPI come parte civile in un processo
relativo a stragi compiute nel 1944 da nazifascisti, ha dichiarato
testualmente: “l’ANPI è storicamente l’erede, in forma
statutariamente riconosciuta, di tutti quei gruppi e formazioni che dal 1942-43 in avanti hanno costituito
centro di riferimento collettivo di grandissima parte della popolazione
italiana, che animata dal medesimo sentimento di restituire al Paese libertà e democrazia, ha agito
nelle più avanzate forme, anche non necessariamente armate. Di quei gruppi e
formazioni l’Associazione è l’erede spirituale, stante l’identità dei fini”. Una frase bellissima, che ci onora e
ci impegna. Essere eredi spirituali di un patrimonio di immenso valore
significa non solo “amministrare e gestire” quel patrimonio valoriale, ma anche
farlo vivere, nel concreto, realizzando i sogni, i pensieri, le attese di chi è
caduto per la libertà. Significa che i tempi
e le condizioni politiche, sociali, economiche, morali, possono
cambiare, ma quei fini (libertà e democrazia) vanno sempre perseguiti, con ogni mezzo e con ogni strumento,
anche adattandosi, nelle modalità, alle innovazioni politiche e culturali, ma
restando fedeli ai princìpi e facendo sempre tutto ciò che è possibile per
renderle operative nella realtà. Questo dunque, ci impegna – prima di tutto –
ad essere noi stessi, noi
Associazione Partigiani d’Italia, orgogliosi del patrimonio morale di cui
disponiamo, ma decisi a conservarlo e praticarlo, tenendo ferma la nostra identità, la nostra autonomia, la nostra indipendenza rispetto ad ogni
fattore esterno, in relazione agli anni grandiosi della Liberazione d’Italia e
della Costituzione. Noi non “rottamiamo”
nessuno; cambiano le generazioni, ma non cambia il nostro logo, nel quale sono
riassunti tutti i nostri valori, quelli della Resistenza e della Costituzione
repubblicana. I tempi si fanno più difficili, ma per noi resta fermo
l’imperativo categorico di far svolgere all’ANPI il ruolo che le è stato
assegnato dalla storia, senza iattanza, con la consapevolezza e l’orgoglio di
ricordare sempre da dove veniamo, chi siamo e chi dobbiamo essere; e
soprattutto di come dobbiamo guardare al Paese, non dall’alto di una sorta di
inesistente, nobiltà ma con la coscienza critica, di chi vuole, pretende, esige
(e ne ha il diritto per l’eredità di cui siamo investiti) che quei valori
vengano rispettati, attuati, resi sempre più concreti e tangibili. È questo il
senso della nostra attività, del nostro
lavoro, in definitiva proprio della nostra stessa esistenza: come una
Associazione che non vive di ricordi, ma li fa vivere, guardando al presente e
al futuro. Ai dirigenti, agli iscritti, ai vecchi e ai giovani, alle donne e
agli uomini deve essere chiaro e fermo che l’ANPI esiste ed esisterà per
difendere la democrazia, per praticare l’antifascismo, per ottenere libertà,
eguaglianza e dignità, nel nome della fratellanza e della solidarietà, che
furono tanta parte della Resistenza e che debbono restare il collante di tutti
i sinceri democratici, contro ogni rischio di deviazioni rispetto al percorso che
la Costituzione,
in nome di tutti i combattenti per la libertà ci ha perentoriamente indicato.
28
Ottobre 2015 Comitato Nazionale ANPI
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